Che succede se l’Italia entra in guerra?

Che succede se l'Italia entra in guerra?

Se il nostro Paese dovesse entrare in guerra, i pieni poteri verrebbero dati nelle mani del governo e in particolar modo in quelle del Presidente del Consiglio e dei ministri della Difesa e degli Esteri.

I venti di guerra che soffiano in Ucraina, lasciano intendere che anche in nostro Paese, sebbene estraneo al conflitto, debba serrare i ranghi, allertare la sua Forza Armata e prepararsi ad ogni evenienza.

Le parole del Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica Militare, Generale Luca Goretti, sono state inequivocabili: se i nostri aerei di pattuglia sui cieli della Romania sconfinano in quelli ucraini, la guerra sarà imminente.

Chiedersi se il nostro esercito è pronto ad affrontare un simile conflitto è lecito, e abbiamo cercato di rispondere sciorinando i numeri in questo approfondimento (qui); tuttavia, la circolare dello Stato Maggiore Esercito allarma per la sua cruda verità: occorre farsi trovare pronti.

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha più volte rassicurato, puntando sul fatto che Vladimir Putin abbia fatto male i suoi calcoli e che anziché dividere l’Unione europea l’ha solo compattata ancora di più. Eppure, nei cittadini italiani questa “febbre da guerra” non accenna a placarsi.

Per il nostro Paese significherebbe scendere in campo al fianco delle truppe della NATO, e non fare solo attività di controllo e deterrenza, come sta avvenendo adesso al confine europeo, ma dovremmo fare attivamente la guerra.

In quel caso contravverremmo alla nostra Costituzione? E in caso di coinvolgimento nel conflitto, qual è la procedura che si attiva? Temiamo davvero una chiamata alle armi? Chi sarebbero i primi a partire?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza e di sciogliere qualche dubbio.

Italia in guerra: è davvero possibile?

Se una chiamata alle armi è da escludere, i grandi elicotteri CH-47 da trasporto, le colonne di autocarri in movimento e i tantissimi soldati in manovra sono sicuramente la spia del fatto che qualcosa si sta muovendo, quanto meno al grande poligono militare di Teulada, in Sardegna, che lascia presagire che quella frase “con effetto immediato” presente nella circolare dello Stato Maggiore è stata messa subito in atto.

Tuttavia, il Comando del poligono di Teulada ha subito precisato che si tratta di “normale attività addestrativa”.

Affermazione vera a metà, perché se da un lato le esercitazioni particolarmente complesse richiedono un lungo tempo di preparazione, dall’altro la concomitanza degli eventi porta ad un risultato che non pare per nulla confortante, ovvero sia l’impiego dei nostri contingenti su larga scala, con personale militare addestrato alle operazioni belliche “tradizionali”. E quindi alcuni reparti delle nostre Forze Armate sarebbero i primi a partire.

Italia in guerra: cosa prevede la Costituzione

Come abbiamo più volte sottolineato, l’Italia ha inserito all’interno della sua Costituzione l’art.11, nel quale viene sancito che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesaalla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; ciò non significa rimanere inermi e ciò non toglie che l’adesione alla NATO ci impone di combattere al fianco delle truppe del Patto, che entrano in scena solo in determinati casi specifici (qui).

Infatti, a suffragarne la tesi, vi è l’art. 52 della Costituzione che definisce come “sacro dovere di ogni cittadino” difendere la Patria.

Italia in guerra: chi delibera lo stato di guerra

L’art. 78 della Costituzione è come si dice in gergo: breve ma conciso. Si compone di appena tre righe ma che risultano essere significative e determinanti.

Una volta messo in pratica l’art. 78 non si torna più indietro: si è in guerra.

In caso di entrata in guerra a deliberarne lo stato è il Parlamento (ai sensi proprio dell’art. 78) che conferisce al Governo i pieni poteri necessari. I cosiddetti pieni poteri vengono assunti, in particolare, dal Presidente del Consiglio, dal Ministro della Difesa e da quello degli Esteri.

A deliberare lo stato di guerra è il Parlamento, secondo quanto previsto dall’art. 78 della Costituzione e può farlo in seduta segreta.

La deliberazione dello stato di guerra riguarda, esclusivamente, le misure che l’Italia dovrebbe prendere in caso di aggressione da parte di uno Stato o di forze esterne, e non di eventuali aggressioni da parte dell’Italia, vietate dall’articolo 11 della Costituzione. Questo articolo, dall’entrata in vigore della Costituzione sino ad oggi, non è mai stato utilizzato.

La Camera dei deputati, è sempre bene ricordarlo, sarà la sola a mantenere un rapporto fiduciario con il Governo, al quale conferisce e revoca la fiducia.

Nella riforma dell’art. 78, peraltro, è previsto che la deliberazione sia assunta a maggioranza assoluta e non a maggioranza semplice, come in passato. Si rende, di fatto, più complicato adottare un provvedimento di deliberazione dello stato di guerra.

Tuttavia, corre l’obbligo precisare che la deliberazione dello stato di guerra non coincide con la dichiarazione dello stesso, che spetta al Presidente della Repubblica, pertanto l’art. 78 va letto in combinazione con l’art.87 che disciplina le attribuzioni del Capo dello Stato.

Italia in guerra: il ruolo del Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica non è solo Capo dello Stato ma anche Capo supremo delle Forze Armate e del Consiglio supremo di Difesa (art.87 della Costituzione).

In caso di conflitto il ruolo del Presidente della Repubblica cambia e diventa un supervisore del governo, per verificare che questi agisca nell’ambito delle eventuali indicazioni fissate dallo stato di guerra.

Il Capo dello Stato ha il potere di convocare il Consiglio Supremo di Difesa, che comprende i principali ministri e i vertici delle Forze Armate, con il solo scopo consultivo.

Italia in guerra: cosa sono i tribunali militari

I tribunali militari sono degli organi che giudicano i membri delle Forze Armate per reati previsti dai codici penali militari di guerra e di pace e si insediano in caso di guerra.

I tribunali militari sono tre:

  • Verona;
  • Roma;
  • Napoli.

In più vi è la Corte militare d’Appello e il Tribunale militare di Sorveglianza, entrambe con sede a Roma.

In un contesto di guerra, i diritti che ci verrebbero momentaneamente negati sono:

  • Diritto di voto;
  • Diritto di spostamento, limitati da decreti governativi;

Secondo quanto stabilito dall’art. 60 della Costituzione, è prevista la proroga del Parlamento fino alla fine dello stato di guerra.

Italia in guerra: quando scatta la legge marziale

La legge marziale può entrare in vigore:

  • In caso di stato di guerra della Nazione colpita;
  • Per eccezionali esigenze di ordine pubblico (catastrofe naturale, tentativo di rivoluzione);
  • Dopo un golpe militare e con l’instaurazione di una dittatura militare.

Tra le limitazioni che impone la legge marziale troviamo:

  • Durata dei processi;
  • Sanzioni più severe rispetto alla legge ordinaria;
  • Pena di morte.

Con la legge marziale verrebbero istituiti i tribunali militari e le sentenze non potrebbero più essere appellate in Cassazione e potrebbe essere reintrodotta anche la pena di morte, anche se i costituzionalisti considerano superata questa eventualità dalle leggi successive a quanto previsto dalla Costituzione.

Italia in guerra: cos’è un’economia di guerra

L’eventuale ingresso dell’Italia in guerra non comporta solo una serie di interventi a livello procedurale, ma anche notevoli ripercussioni per i tanti civili che la guerra non la fanno. Ed è per questo che quando si parla di conflitto bellico lo sia accosta subito all’economia di guerra.

Come ha ben spiegato a La Repubblica il prof. Stefano Manzocchi, docente di economia internazionale e prorettore per la ricerca alla Luiss “Guido Carli”, l’economia di guerra è

“a sospensione o il restringimento molto forte dell’economia di mercato, di fatto sostituita da un’economia pianificata in cui a livello centrale si decide cosa si deve produrre e cosa no”.

In uno stato del genere, la capacità produttiva di un Paese è tutta proiettata allo sforzo bellico, le risorse vengono convogliate per allestire e finanziare la produzione militare.

Ciò comporta una riconversione della produzione industriale, le imprese producono ciò che serve per combattere e vengono razionate le materie prime.

“Lo shock di una crisi come l’attuale può comunque essere enorme, pur non pregiudicando l’economia di mercato che continua a funzionare. Ma il Paese che subisce questo shock deve comunque mettere in campo misure per adattarsi, come accaduto con il Covid e come accadrebbe per una carestia”.

Come ribadito più volte, il tallone d’Achille dell’economia italiana è l’approvvigionamento dell’energia che dipende per la quasi totalità da fonti straniere.

Il tipo di economia che stiamo vivendo ora, secondo il prof. Manzocchi è “delle scorte più che di guerra”, amplificando quanto già si faceva in termini di stoccaggio di energia e materie prime (grano).

Non essendo abituati a “fare scorta” e non poter fare affidamento su di esse, comporterà un razionamento delle risorse presenti, ma questo non significa entrare in economia di guerra.