Quali conseguenze per l’Italia se la Cina attacca Taiwan?

Quali conseguenze per l'Italia se la Cina attacca Taiwan?

La tensione tra Cina, Taiwan e Usa si fa ogni giorno più alta. L’Italia potrebbe trovarsi intrappolata in un conflitto che distruggerebbe la sua economia, in gran parte in mano cinese.

La visita della speaker della Camera americana, Nancy Pelosi, a Taiwan è solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo, contribuendo soltanto a ravvivare la scintilla, mai spentasi, tra Cina, Taiwan e Usa.

Se il primo ministro cinese Xi Jinping è intenzionato a salvaguardare la sovranità nazionale della Cina e la sua integrità territoriale, rivendicando l’egemonia sulla “provincia ribelle”; dal canto loro gli Usa non sono disposti a mantenersi neutrali nel caso in cui la Cina dovesse attaccare Taiwan.

Gli interessi economici e geopolitici che muove Taipei sono enormi. Non solo l’isola è ricca e prospera, con un Pil che la piazza tra le prime venti economie al mondo, ma Taiwan è il primo produttore al mondo di dispositivi tecnologici, vitali per l’industria di settore, e fornitore di Apple.

Se la Cina dovesse decidere di bombardare la sede principale della TSMC, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, si fermerebbe la produzione e ci sarebbero gravi danni per l’economia globale.
Ma in tutto questo cosa c’entra l’Italia?

Scontro Usa-Cina: le conseguenze per l’Italia

Il nostro Paese è un alleato di ferro degli Stati Uniti e potrebbe ritrovarsi, suo malgrado, al centro di uno scontro tra superpotenze.

Il presidente americano Joe Biden ha già fatto sapere che gli Usa non si tireranno indietro e scenderebbero in campo per difendere la democrazia di Taiwan, e già che ci sono anche i loro interessi economici.

L’Italia è un membro della Nato e qualora l’America richiedesse l’appoggio dei membri dell’Alleanza, questi non possono esimersi dal fornirlo. Perciò, ci ritroveremmo invischiati in un conflitto che, apparentemente, non ci riguarda.

Di certo la prosecuzione delle esercitazioni cinesi nello Stretto di Taiwan non contribuisce a rasserenare gli animi. In un eventuale conflitto nucleare verrebbe fuori lo squilibrio evidente tra Cina e Taiwan, con l’esercito cinese che è molto più organizzato e forte, almeno sulla carta. A meno che, gli Usa non scendano in campo, come hanno più volte dichiarato, e lì la situazione potrebbe davvero diventare incandescente.

L’effetto Ucraina spaventa molti, come pure trovarsi nella condizione di dover sostenere una Nazione (Taiwan) che è distante da noi, con pesanti ripercussioni per l’economia europea, già provata dalla guerra in Ucraina, dalla crisi globale e dal Covid.

Secondo gli analisti, il messaggio mandato a Pechino è chiaro: la questione dell’isola “non è più un problema che può essere risolto solo tra le due sponde dello Stretto di Taiwan”.

Gli interessi cinesi in Italia

Il nostro Paese non può permettersi uno scontro con la Cina soprattutto per via degli interessi che il Dragone coltiva sul nostro territorio.

A fine 2019, vi erano 405 gruppi cinesi in Italia con partecipazioni in 760 imprese italiane e 43.700 occupanti, con un giro d’affari di 25,2 miliardi di euro.

La Cina si è inserita pian piano nella nostra economia, potendo contare su ingenti capitali e buone prospettive di espansione.

Come riporta il Sole 24Ore, in un articolo di qualche tempo fa, la multinazionale StateGrid detiene una significativa quota del 35 per cento nella finanziaria delle nostre reti energetiche elettriche - Cdp Reti S.p.A. - che controlla Snam, Terna, Italgas.

ChemChina, invece, è detentrice della maggioranza (45 per cento) delle quote di Pirelli & C. S.p.A.; mentre, la Shangai Electric Corporation ha comprato il 40 per cento di Ansaldo Energia S.p.A. (con sede a Genova).

Le quote di Eni, Tim, Enel e Prysmian sono sotto il controllo della People’s Bank of China, la banca centrale della Repubblica Popolare Cinese. Altre grandi imprese italiane con quote detenute dai cinesi sono: Intesa SanPaolo, Saipem, Moncler, Salvatore Ferragamo, Prima Industrie.

Secondo quanto riporta Limes, a questo si aggiungono i poli tecnologici Huawei e Zte in Italia, dislocati nelle principali regioni italiane, in alcune delle quali convivono con le basi Usa e Nato presenti in Italia. Genova e Trieste sono i due principali porti di approdo per le nuove vie della seta.

Per non parlare della presenza cinese in Europa. Solo per dirne una, il più grande centro logistico di Huawei fuori dalla Cina è in Slovacchia.

Capite bene che l’influenza economica cinese in Italia, e non solo, è molto forte, molto più di quella russa. Senza dimenticare gli accordi bilaterali economici e di sviluppo che il nostro Paese ha stretto con il Dragone.

Quindi occorre fare tutto quello che è possibile affinché venga scongiurato un altro conflitto, che a detta dell’ex segretario di Stati Usa, Henry Kissinger, rischia di essere comparabile alla Prima Guerra Mondiale.