Paola Gentile - 8 giugno 2022
Vittorio Nisticò, storico direttore de L’Ora: chi era e cosa ha fatto per la lotta alla mafia
L’uomo che sfidò Cosa Nostra chiamandola con il proprio nome, diede il via al giornalismo antimafia.
Con l’avvento del giornale L’Ora , tutto quello che stava accadendo in Sicilia, a partire dalla fine degli anni ’50, ebbe finalmente un nome: mafia.
Fu proprio Vittorio Nisticò, storico direttore di quello che è stato per anni il quotidiano del pomeriggio, a sfidare Cosa Nostra, rispondendo al piombo della criminalità organizzata siciliana con l’inchiostro delle parole e si sa, le parole possono fare molto male.
Per quanto ci si voglia sbarazzare dei propri nemici, ciò che viene raccontato, denunciato, portato a galla, avrà un eco più grande e quelle testimonianze serviranno alle giovani generazioni per sapere cosa accadde in passato e per far sì che non si ripeta più.
La storia umana e professionale di questo straordinario giornalista e uomo libero rivive questa sera su Canale 5 nella fiction “L’Ora, l’inchiostro contro piombo”.
A dare il volto ad Antonio Nicastro, ispirato alla figura di Nisticò, un intenso Claudio Santamaria.
Chi è stato Vittorio Nisticò per il mondo del giornalismo e cosa ha fatto per la lotta alla mafia? Tutto quello che c’è da sapere.
Vittorio Nisticò: chi era
Vittorio Nisticò nasce a Cardinale, nel 1919, in provincia di Catanzaro, da una famiglia agiata della borghesia calabrese. Terminati gli studi umanistici a Roma,
Nisticò intraprende la sua formazione giornalistica nei giornali di area comunista, fino ad arrivare a La Voce di Bari e in seguito a Paese Sera, quotidiano serale romano del Partito Comunista, diretto da Tomaso Smith.
Vittorio Nisticò: la direzione de L’Ora
Nel 1954, a 35 anni, Nisticò approda a L’Ora, quotidiano del pomeriggio di Palermo, fondato da Ignazio Florio, che aveva avuto come direttore, nel 1904, Edoardo Scarfoglio, e che all’epoca gravitava nell’orbita dell’editoria comunista guidata da Amerigo Terenzi, che incarica Nisticò di prendere in mano le redini del giornale.
La direzione dell’Ora resta salda nelle sue mani fino al 1975, e grazie ad essa molti aspiranti giornalisti poterono fare gavetta sotto l’ala protettrice di uno straordinario direttore.
Appena giunto al giornale palermitano, come prima cosa, Nisticò cambiò l’impaginazione, le fotografie vennero scelte con cura (a lui si deve il merito di aver assunto la celebre fotografa Letizia Battaglia, all’epoca alle prime armi), vennero usati titoli ad effetto e uno stile stringato e diretto. Ampio spaio fu destinato al racconto politico, economico e ai personaggi più influenti del panorama siciliano dell’epoca.
Vittorio Nisticò: la prima inchiesta e l’inizio della lotta alla mafia
La prima grande inchiesta affrontata dal giornale palermitano è su Luciano Liggio. L’astro nascente della criminalità locale venne descritto sulle pagine dell’ Ora per quello che era: feroce, potente, capo della mafia di Corleone.
I giornalisti, capitanati da Felice Chilanti, avevano dato a Nisticò un pezzo che scottava. La scelta più sensata sarebbe stata quella di cestinarlo, ma quella etica sarebbe stato pubblicarlo, ma non al solito modo manierista e ingessato dei quotidiani dell’epoca.
Il 15 ottobre 1958, Nisticò sbattè il mostro in prima pagina e sotto alla faccia di Liggio campeggiava la scritta “Pericoloso”.
Da quel momento in poi, la mafia corleonese giurò che l’avrebbe fatta pagare a Nisticò e soci, e il 18 ottobre una bomba venne fatta esplodere sotto la sede del giornale in piazzetta Francesco Napoli, 5.
Se qualcuno si fosse aspettato un cambio di rotta da parte del direttore rimase deluso. Nisticò rilanciò e il 19 ottobre 1958 su L’Ora comparve un titolo a caratteri cubitali: “La mafia ci minaccia, l’inchiesta continua”.
Per la prima volta la parola mafia venne messa nero su bianco. Le inchieste, partite dall’uccisione del sindacalista Placido Rizzotto e giunte fino a Liggio, non si fermarono.
Tramite il giornale è stato raccontato uno spaccato di Sicilia e di Italia dilaniato dallo strapotere di Cosa Nostra, sfociato poi nelle stragi del ’92.
Un percorso che attraversa la storia della Sicilia, dalla prima inchiesta antimafia nel 1958 fino al terremoto del Belice, dal governo regionale di Silvio Milazzo alla guerra di mafia degli anni ‘80, impreziosito dalla collaborazione di intellettuali come Leonardo Sciascia, fino alla chiusura del giornale, nel 1992, a pochi giorni dalla strage di Capaci.
Vittorio Nisticò: la fine della direzione e de L’Ora
È il 1975 quando Nisticò lascia la direzione del quotidiano siciliano con un numero notevole di lettori e una linea editoriale ben consolidata.
La sua capacità di scovare le notizie e affidarsi ad un gruppo di giovani talenti ha fatto sì che il giornale fosse sempre libero da vincoli partitici, sebbene la sua collocazione fosse chiaramente a sinistra, ritagliandosi ampi margini di indipendenza, nonostante il direttore del giornale fosse del Pci.
Nel novembre 1975, Nisticò affianca il neo direttore Arrigo Benedetti, alla guida del quotidiano romano Paese Sera, anch’esso finanziato dal Partito comunista.
Nel 1978, L’Ora entra in una fase di difficoltà economica che ne minacciava l’esistenza. Per salvare la testata, Nisticò fondò una cooperativa di giornalisti che per dieci anni gestì L’Ora. Poi il giornale tornò alla gestione diretta della proprietà, riconducibile al Pci, fino alla cessazione delle pubblicazioni nel 1992.
Successivamente, Nisticò fondò e diresse per alcuni anni il mensile di cultura e politica mediterranea Euros. Nel 2002 gli fu assegnato il Premio Saint-Vincent di giornalismo alla carriera e nel 2003 Carlo Azeglio Ciampi lo nominò grande ufficiale al merito della Repubblica.
Morì il 7 gennaio 2009, all’età di 89 anni.
Grazie alle inchieste portate avanti da tutto lo staff giornalistico dell’Ora nasce il giornalismo antimafia che tre generazioni di cronisti, formatisi presso la storica sede del quotidiano palermitano, hanno saputo raccontare, pagando un prezzo molto alto in termini di vite umane.
Sono stati tre i cronisti de L’Ora morti: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato.