Rischio incidente nucleare a Chernobyl: quali conseguenze per l’Italia, come è andata la prima volta

Rischio incidente nucleare a Chernobyl: quali conseguenze per l'Italia, come è andata la prima volta

Lo spegnimento e poi la riaccensione dell’energia elettrica alla centrale di Chernobyl potrebbe comportare risvolti drammatici, tra cui l’inquinamento della falda acquifera.

La centrale di Chernobyl, tristemente nota per l’esplosione del reattore n.4 nel 1986, è tornata nuovamente a destare preoccupazione quando i russi hanno staccato la corrente elettrica.

Sebbene l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) abbia rassicurato che non ci sono perdite di effluvi radioattivi e che il generatore è entrato in funzione.

Tuttavia, proprio nella giornata di ieri, è stata nuovamente staccata la corrente elettrica e la centrale, così come la città di Slavutych sono rimaste senza corrente elettrica, dopo le riparazioni dei giorni scorsi.

A riferirlo è stata Ukrenergo, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale ucraina. E sempre nella giornata di ieri, i russi hanno bombardato nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhzhya e non è ancora chiaro se i livelli di radiazioni nell’aria hanno subito un incremento o meno.

Lala Tarapakina, consigliere del Ministero dell’Ambiente del governo ucraino, ha parlato di “Circolo vizioso. Sono matti. Matti e matti”, in riferimento al continuo spegnimento dell’energia elettrica alla centrale di Cernobyl.

Rischio incidente nucleare a Chernobyl: quali conseguenze per l’Italia

“L’Ucraina ci ha informato che l’alimentazione esterna alla centrale nucleare di Chernobyl è stata ripristinata dopo che la linea di alimentazione è stata nuovamente danneggiata dalle forze di occupazione”

ha riferito l’AIEA in una nota.

Quindi, la situazione sarebbe rientrata, tuttavia le preoccupazioni di un rischio incidente nucleare a Chernobyl restano.

Quello che desta maggiormente preoccupazione è che il sarcofago di contenimento del reattore n.4, quello esploso nel 1986, si fonda e raggiunga le falde acquifere, contaminandole. La maggior parte delle sostanze radioattive ancora presenti, necessitano di centinaia di anni per dimezzarsi, quindi sebbene l’impianto sia spento, continua a bollire, proprio come un vulcano.

Il prof. Mauro Martellini, docente all’Università dell’Insubria, in un’intervista rilasciata al Giornale ha rassicurato circa l’assenza di rischi per il nostro Paese, qualora dovesse esserci la contaminazione delle falde.

Il problema sarebbe circoscritto alla sola Ucraina; scenario diverso si verificherebbe se la piattaforma di contenimento del reattore esplodesse, in quel caso i problemi riguarderebbero tutto il continente. Ma anche questa eventualità è da escludere.

Il problema vero è la presenza di reattori esplosi, non sostituiti ed aggiustati, cambiare un reattore, infatti, costa oltre 13 miliardi di euro e si preferisce “ristrutturare” quelli già esistenti.

Il prof. Martellini ha chiarito che l’Italia deve guardarsi bene dai reattori presenti in Francia. Ricordiamo, infatti, che il nostro Paese non possiede centrali nucleari.

L’80% dell’energia elettrica transalpina ha origini nucleari, prodotta da reattori “vecchiotti”. Questo significa che “c’è sempre qualche rilascio di combustibile”.

Seppur tenuti in regime di sicurezza, i reattori vanno sempre monitorati, poiché qualora dovesse verificarsi qualche inconveniente, la prima a rischiare sarebbe proprio l’Italia.

Rischio incidente nucleare a Chernobyl: com’è andata la prima volta

Lo scoppio del reattore n.4 di Chernobyl nel 1986 portò risvolti devastanti.

Tuttavia, l’incidenza tra tumori in Italia ed effetti derivati da Chernobyl è alquanto scarsa, viste anche le esposizioni a radiazioni per esami medici e altro a cui siamo sottoposti ogni giorno.

La dose media individuale accumulata dalla popolazione italiana nell’arco di oltre tre decenni dalla tragedia è stata di circa 1 mSv (1 millisievert = 1/1000 di sievert), con valori intorno a 1.6 mSv al Nord, di cui circa la metà nel corso del primo anno.

Oggi in aree come il Piemonte la contaminazione dovuta a Chernobyl contribuisce a meno dell’1% della dose assorbita dalla popolazione per esposizione a radioattività naturale.

La maggiore incidenza di radiazioni ionizzanti e tumori si è riscontrata nella popolazione delle aree direttamente coinvolte, vale a dire: Ucraina, Bielorussia e i territori dell’ex URSS.

Lo iodio radioattivo, uno dei più pericolosi materiali diffusi da esplosioni ed incidenti atomici, tende a depositarsi su pascoli e coltivazioni in seguito ai fallout nucleari, può essere ingerito attraverso il latte o il consumo di vegetali e si concentra quindi nella tiroide rappresentando un rischio, soprattutto nei primi anni di vita, per lo sviluppo di tumori.

Però non esistono marker biologici che consentono di distinguere un tumore causato da radiazioni e uno sviluppatosi naturalmente.

Lo studio condotto dal team di ricerca internazionale su un campione di 400 cittadini ucraini che hanno sviluppato un tumore alla tiroide negli anni seguenti al disastro di Chernobyl, comparati ad altri 81 con lo stesso tipo di neoplasia, ma nati a sufficiente distanza temporale dall’incidente, ha messo in evidenza che la comparsa del carcinoma alla tiroide è dovuto alla rottura del doppio filamento di DNA, tanto più crescente all’aumentare della dose di radiazioni.

La ricerca non ha consentito di ottenere un biomarcatore univoco per i tumori indotti dalle radiazioni, ma ha fornito dati per intervenire sui soggetti con radiazioni non particolarmente elevate.