Forze Armate, migranti arruolati in cambio della cittadinanza: a rischio i valori dei militari

Forze Armate, migranti arruolati in cambio della cittadinanza: a rischio i valori dei militari

L’idea di arruolare migranti nelle Forze Armate in cambio della cittadinanza italiana è controversa: che succede ai valori e agli ideali militari?

Abbiamo già parlato dei problemi che riguardano la Difesa, tra cui la carenza di personale, delle necessità di turnover, e della posizione del ministro Guido Crosetto. Pare che quest’ultimo stia prendendo in considerazione anche soluzioni inconsuete. Da quanto riportato da alcuni organi stampa sembra che una delle proposte sia quella di arruolare migranti nelle Forze Armate in cambio della cittadinanza italiana.

Si fa ovviamente riferimento a migranti regolarmente sul territorio che, a fronte di una buona padronanza della lingua italiana, potrebbero ricevere un contratto di 1 o 2 anni e ottenere la cittadinanza. Una soluzione che appare da subito come controversa, sebbene la matematica che vi sta dietro ne ammette una certa funzionalità. Arruolando migranti in cambio della cittadinanza si riuscirebbe a lenire la carenza di personale e diminuire l’età media nelle Forze Armate, dando nel contempo un lavoro e una stabilità ai lavoratori.

Ci sono però delle perplessità, come ci hanno fatto notare alcune associazioni sindacali di settore. Il rischio principale di questa iniziativa sarebbe quello di snaturare i valori e gli ideali su cui si fonda il servizio militare, dando un premio come la cittadinanza in cambio dell’arruolamento. Oltretutto, potrebbero presentarsi difficoltà di coesione all’interno dei reparti - pensare a sezioni separate risulta impossibile senza discriminazioni - e non si può stimare il numero di migranti idonei per competenze.

Sindacati, l’Esercito non è uno stipendificio, serve risolvere i problemi di fondo

Come anticipato, l’idea di offrire premi come la cittadinanza in cambio del servizio nelle Forze Armate ha già riscosso rapidamente molto dissenso. Francesco Gentile, socio fondatore di ASPMI (Associazione sindacale professionisti militari) l’ha commentata come segue:

Non scherziamo con le cose serie. L’Esercito è molto di più, ci sono valori che non possono essere trasmessi semplicemente con la promessa di una retribuzione. Non siamo uno stipendificio, pensiamo piuttosto a una soluzione per fare in modo che la Forza Armata torni ad essere attrattiva tra i giovani italiani.

Il punto è chiaro, non dovrebbe passare l’idea che far parte dell’Esercito Italiano sia un lavoro come un altro rivolto alla retribuzione, alla necessità di mantenersi o a premi, come in questo caso la cittadinanza. Di fatto, se c’è qualcosa che i militari ci hanno insegnato in questi anni è proprio un’estrema dedizione alla professione che compensa anche lo scarso riconoscimento economico e sociale dei servizi resi.

D’altro canto, pare legittimo iniziare a pensare a soluzioni per il benessere dei cittadini che già fanno parte delle Forze Armate, rendendo l’arruolamento una scelta più sicura per chi vuole intraprenderla. Proprio perché si tratta di una professione peculiare, che già richiede molto sacrificio, servirebbe quanto meno rassicurare gli aspiranti militari sulle prospettive future.

Concorda sul punto anche Sim Marina (Sindacato italiani militari marina) che, come ci informa il Colonnello Francesco Cacace, ritiene necessario un diverso approccio al problema della “non affezione alle Forze Armate da parte dei giovani, testimoniata anche dai numeri. Si bandiscono concorsi per un numero di posti ai quali concorrono un numero sensibilmente inferiori di candidati”. Servirebbe quindi una strategia diversa:

Un approccio che deve essere migliorativo per le condizioni generali di chi lavora in Forza Armata, altrimenti come facciamo a evitare le sistematiche fuoriuscite e gli ingressi in diminuzione? Se non vengono affrontate le criticità logistiche e di supporto al personale non si farebbe altro che creare ulteriori problemi. La compresenza di uomini di estrazioni culturali, religiose e modi di vivere differenti armati in un unico complesso sarebbe possibile solo con uno sforzo di supporto e logistica, che ora manca.

Si sottolineano quindi le possibili difficoltà di coesione tra colleghi, senza dubbio inasprite dalle condizioni sfavorevoli di lavoro e dalle conseguenti tensioni. L’ipotesi di reclutare militari dietro ricompensa appare critica, perché potrebbe far venire a mancare quel complesso di ideali condivisi che dà ora unità alle Forze Armate.

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