Pensioni Forze Armate e Polizia: l’Inps viola i diritti dei militari applicando un’aliquota inferiore a quella di legge

Pensioni Forze Armate e Polizia: l'Inps viola i diritti dei militari applicando un'aliquota inferiore a quella di legge

Qual è l’interpretazione corretta dell’articolo 54 del DPR 1092/1973? Gli esperti sono dalla parte dei militari: l’Inps viola i diritti di Forze Armate e di Polizia riconoscendo loro una pensione più bassa.

Il tema del ricalcolo delle pensioni militari, in base a quanto indicato dall’articolo 54 del D.P.R. 1092 del 29 dicembre 1973, fa ancora discutere specialmente dopo che il Governo ha ribadito che l’interpretazione data dall’Inps è quella corretta.

Facciamo un piccolo passo indietro per spiegare la questione a chi non ne conosce i contenuti. L’articolo 54 stabilisce che al personale militare che ha maturato almeno 15 anni - e non più di 20 anni - di contributi spetta il 44% della base pensionabile.

Secondo l’Inps però per beneficiare di questa aliquota per il calcolo della pensione, ben più favorevole rispetto a quella descritta dall’articolo 44 dello stesso decreto che invece si applica per il personale civile, bisogna aver maturato almeno 15 anni di contributi alla data del 31 dicembre 1995 (data che ha segnato il passaggio da sistema retributivo a contributivo).

Ci sono sentenze della Giurisprudenza - come quella 12/2018 della Corte dei Conti della Regione Calabria - per cui l’interpretazione che l’Inps dà di questo articolo sarebbe errata.

Anziché riconoscere una base pensionabile del 44% a partire dal 15° anno di contributi, infatti, questo dovrebbe applicare un’aliquota di rendimento del 2,93% per ogni anno, così da arrivare al 15° anno con un 44% della base pensionabile. L’Inps invece continua ad applicare per gli arruolati dopo gli anni ‘80 un’aliquota di rendimento del 2,33%, ossia quella prevista dall’articolo 44 e valida anche per il personale civile.

Per capire qual è l’interpretazione giusta per l’articolo 54 - tolto che il Governo si è già espresso in merito dando ragione all’Inps - Affaritaliani.it ha contattato due esperti in materia chiedendo loro un parere. Si tratta degli avvocati Matteo Sancese e Hiroshi Pisanello, esperti di diritto tributario e militare che appartengono al network Iuris Hub.

Prima di andare avanti, però, ci teniamo a ricordare che la questione interessa tutti i militari e gli appartenenti alle Forze di Polizia ad ordinamento militare, quindi coloro che sono impiegati in Esercito, Marina e Aeronautica ma anche nell’Arma dei Carabinieri e nella Guardia di Finanza.

Una precisazione va fatta per Polizia di Stato e Polizia Penitenziaria: i primi possono agire in giudizio solo se arruolati prima del 25 giugno 1982, ossia data in cui la Polizia di Stato è divenuta “corpo di polizia ad ordinamento civile”, mentre i secondi solo se arruolati - per lo stesso discorso - prima del 15 dicembre del 1990.

Pensione militari, perché l’Inps sbaglia: il parere degli esperti

Gli avvocati Sancese e Pisanello sono totalmente dalla parte dei militari ritenendo che l’interpretazione restrittiva che l’Inps dà dell’articolo 54, costituisce una “palese violazione dei diritti dei militari” visto che per il calcolo della pensione (per la parte antecedente al 1° gennaio 1996) viene utilizzata “un’aliquota inferiore rispetto a quella prevista dalla legge”.

Applicando l’aliquota di rendimento corretta - che secondo gli avvocati è appunto quella del 2,93% - ci sarebbe la possibilità per i militari di ottenere un aumentosignificativo e legittimo” delle proprie pensioni. Basti pensare che per 10 anni di contributi oggi spetta il 23,30% della base pensionabile, anziché il 29,30% previsto qualora l’Inps estendesse l’applicazione dell’articolo 54 anche ai militari con meno di 15 anni di contributi alla data del 31 dicembre 1995.

Ciò invece si traduce in un vantaggio per l’Inps, per un danno che per i militari varia dai 150,00€ ai 300,00€ in meno ogni mese.

Secondo gli esperti l’interpretazione data dall’Inps è assolutamente errata, dal momento che “contrasta con la realtà del dato normativo”.

Ecco nel dettaglio la spiegazione fornita dai suddetti avvocati sul perché l’interpretazione data dall’Inps è da ritenersi errata:

Come già detto in precedenza, l’I.N.P.S. sostiene che l’aliquota del 44% si applichi esclusivamente nel caso in cui il militare, alla data del 31 Dicembre 1995, abbia maturato un’anzianità contributiva di massimo 20 anni e che lo stesso abbia poi cessato immediatamente il servizio, senza maturare ulteriori anni di anzianità.
Tale interpretazione, risulta incompatibile con quanto previsto dall’art.54 del D.P.R. n.1092/1973 ed, in particolare, dalla disposizione contenuta nel comma 2 del predetto articolo.

Di fatti, il comma 1 dell’art.54 stabilisce che “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo”, mentre il successivo comma 2 prevede espressamente che “la percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo.

Appare evidente, quindi, come la tesi sostenuta dall’I.N.P.S. venga sconfessata dal comma 2 dell’art.54 del D.P.R. n.1092/1973, il quale addirittura prevede, nel caso in cui il militare maturi più di 20 anni di servizio, un aumento dell’aliquota in questione”.

Le sentenze della Corte dei Conti in favore dei militari

D’altronde, come vi abbiamo anticipato anche noi, negli ultimi anni diverse sentenze hanno dato ragione ai militari.

Se le prime pronunce, datate 2016 e 2017, hanno dato ragione all’Inps, infatti, successivamente i giudici hanno cominciato a dar credito a quanto rivendicato dai militari, accogliendo il ricorso da loro presentato e obbligando l’Inps ad effettuare un ricalcolo della pensione degli appartenenti alle Forze Armate arruolati negli anni ‘80.

A tal proposito, ecco una lista delle sentenze della Corte dei Conti con le quali è stata data ragione ai militari:

  • sentenze n.446 e n.468 del 2018, Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia;
  • sentenza n.95 del 2018, Regione Umbria;
  • sentenza n.9 del 2019, Regione Liguria;
  • sentenze n.12, n. 13, n. 44 e n. 46 del 2018, Regione Calabria;
  • sentenze n.67 e n.109 del 2018, Regione Friuli Venezia Giulia;
  • sentenze n.2, n.42, n.43 e n.68 del 2018, Regione Sardegna;
  • sentenza n.228 del 25 Settembre 2018, Regione Toscana;
  • sentenza n.422 dell’8 Novembre 2018, Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti.