Chiara Esposito - 6 luglio 2021
No accordi con la Libia: ecco spiegato il nuovo tormentone social
L’hashtag contro gli accordi Italia-Libia diventa virale e si torna a parlare delle violenze della Guardia Costiera libica ai danni dei migranti.
L’hashtag #NienteAccordiConLaLibia riaccende i riflettori sulla questione dei finanziamenti italiani alla guardia costiera libica. Di seguito proviamo a capire come nasce questo fenomeno social e perché abbiamo bisogno di un nuovo accordo internazionale se vogliamo tutelare i diritti umani.
L’indignazione degli attivisti del nostro paese verso gli accordi vigenti tra il Governo e la Guardia costiera libica è viva e palpabile. A seguito dell’attacco delle autorità tripoline ai danni di una piccola imbarcazione di migranti speronata e affondata, spopolano tweet che chiedono la cessazione dei patti fra i due stati.
Ad accendere la polemica è stato un video registrato da Seabird, il mezzo aereo dell’ ONG Sea Watch usato per pattugliare il Mediterraneo centrale. Nonostante le immagini inequivocabili però, sul fronte istituzionale c’è ben poco movimento, se non un vero e proprio immobilismo.
Il casus belli: cosa ha scatenato le polemiche
Il filmato diffuso sui social dall’organizzazione non governativa dei Paesi Bassi è diventato virale tra le frange degli attivisti italiani e ha portato in molti a chiedersi per quanto ancora andrà avanti l’opera di sostentamento economico elargita dall’Italia alle forze libiche.
La motovedetta che appare nel video infatti è Ras Jadir 648, un mezzo donato dall’ex Ministro Marco Minniti alla forze della guardia costiera e guidato da uomini addestrati proprio nel corso dell’operazione Sophia, un progetto europeo che idealmente avrebbe dovuto contrastare il traffico dei migranti nel Mediterraneo.
Non è la prima volta che si parla infatti di forme di sovvenzione economica ai danni della vita stessa dei migranti, imprigionati sempre più spesso sulle coste della Libia in quelli che formalmente vengono definiti dei centri di accoglienza ma che più volte associazioni come Amnesty e l’ONU stessa hanno assimilato a dei lager.
Le foto che oggi circolano in rete riportano l’hashtag #NienteAccordiConLaLibia per esprimere una forma di dissenso alla noncuranza del sistema politico verso la realtà dei fatti, ormai ben nota e documentata. La risposta popolare però viaggia proprio sul web perché non trova altri canali in cui inserirsi e soprattutto non trova una dimensione legislativa di opposizione forte a questi trattamenti disumani perpetrati alla luce del sole.
Richiamare dal basso l’attenzione mediatica è l’unico mezzo disponibile.
No accordi con la Libia: il fronte istituzionale reale
La questione legislativa è in forte stallo da tempo, denunciata ciclicamente ma senza particolare vigore anche da esponenti interni al contesto politico.
L’anno scorso è per altro scaduto senza le modifiche promesse il memorandum Italia-Libia del 2017, un accordo di durata triennale che avrebbe dovuto mitigare l’emergenza migratoria e al contempo tutelare i migranti da possibili violenze. Firmato a suo tempo da Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di Riconciliazione Nazionale libico Fayez al-Sarraj, il testo viene oggi contestato sui social perché non ha realmente migliorato le condizioni dei migranti né in mare né nelle strutture che dovrebbero ospitarli, ma non sono stati registrate volontà di modifica del patto.
Per non parlare dell’inconcludente viaggio di Draghi in Libia dell’aprile scorso in cui, in conferenza stampa congiunta con il premier libico, egli stesso aveva detto:
“Abbiamo parlato della nostra cooperazione in campo progettuale, con precisi riferimenti alle infrastrutture civili, in campo energetico, in campo sanitario, in campo culturale. C’è la volontà di rilanciare l’interscambio culturale ed economico libico. In altre parole si vuole fare di questa partnership una guida per il futuro nella piena sovranità della Libia”.
Ignorare l’elefante nella stanza, direbbero alcuni. Risuonano lontane solo le parole di chi come Orfini diceva: “Non possiamo addestrare i torturatori”. O di chi, come Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini afferma che quelle morti sono sempre delle morti annunciare o ancora:
“L’Italia non può continuare a definire come politiche migratorie quelli che sono accordi stipulati con governi antidemocratici come quello libico”.
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