Lavoro in nero: sanzioni per datore di lavoro e dipendenti

Lavoro in nero: sanzioni per datore di lavoro e dipendenti

Ecco una guida di tutte le sanzioni per il datore di lavoro e per i dipendenti che svolgono lavoro in nero.

A volte si crede che in caso di lavoro in nero, chi rischia è soltanto il datore di lavoro. In realtà, anche se è vero che il datore di lavoro rischia molto in caso di lavoro in nero, sono previsti dei rischi anche per il dipendente che decide di non denunciare, o almeno, in alcuni casi.

Il dipendente, in caso di lavoro in nero, ha due strade: la prima è capire come denunciare alle autorità il lavoro in nero, secondo le modalità consentite per legge; la seconda è rischiare, privandosi dei diritti da lavoratore, sanzioni e querele che possono arrivare anche al reato di falso in atto pubblico.

Quando si parla di lavoro in nero?

Si parla di lavoro in nero quando l’azienda decide di non inviare la comunicazione preventiva di assunzione per uno qualunque dei suoi dipendenti, ossia il modello telematico Unilav. Si tratta, quindi, di lavoro in nero quando un dipendente è sconosciuto alla pubblica amministrazione.

Nella normativa italiana inerente al lavoro in nero, si applica il principio di effettività, ossia una regola in base alla quale non conta molto quanto risulta su carta, ma l’effettiva realizzazione di una prestazione dipendente soggetta a potere direttivo e al controllo del datore di lavoro. Ciò significa che se il rapporto di lavoro si concretizza, l’azienda è tenuta a tutti gli obblighi di legge.

Cosa rischia il datore di lavoro? Le sanzioni

L’azienda che impiega lavoratori irregolari subisce due tipi di conseguenze: da un lato, un’azione civile del lavoratore perché venga regolarizzato il contratto con eventuali sanzioni; dall’altro lato, delle sanzioni da parte degli ispettori della pubblica amministrazione, d’ufficio o su segnalazione dei dipendenti.

Il primo caso, quello che prevede la sanzione amministrativa per il lavoro in nero, si presenta in due versioni:

  • la mancata comunicazione dell’assunzione ai Servizi per l’impiego, nel caso in cui non siano applicabili le maxisanzioni, prevede una sanzione amministrativa che va da 100 a 500 euro;
  • la maxisansione per il lavoro sommerso che prevede, a seconda della durata dell’impiego, una sanzione dai 1.500 ai 9.000 euro per ciascun lavoratore irregolare fino ai 30 giorni, dai 3.000 ai 18.000 euro fino ai 60 giorni e fino a 36.000 euro oltre i 60 giorni per ciascuna persona impiegata irregolarmente.

In caso si tratti di stranieri o di bambini in età non lavorativa, le sanzioni sono maggiorate del 20%.

Quando non si applica la maxisanzione

La maxisanzione non si applica per il lavoro domestico, né se dagli adempimenti di carattere contributivo assolti in precedenza - come ad esempio dal flusso UniEmens - risulta la volontà di non occultare il rapporto. In questo caso, si applicherà solo la sanzione ordinaria per mancata comunicazione preventiva.

Inoltre, la maxisanzione non si applica anche se si tratta di rapporti con lavoratori autonomi e parasubordinati, per i quali non è prevista, secondo legge, la comunicazione preventiva. In quel caso si dovrà dimostrare invece che il rapporto di lavoro sia di tipo dipendente e non autonomo, qualora se ne verifichino le condizioni.

Conseguenze civili per il datore di lavoro

Le conseguenze civili per il datore di lavoro sono diverse e, in particolare:

  • pagamento degli stipendi che non risultano versati;
  • pagamento delle differenze retributive;
  • straordinari non pagati;
  • indennità non pagate;
  • pagamento del Tfr;
  • versamento dei contributi nel periodo di lavoro;
  • risarcimento per licenziamento illegittimo eventuale.

Conseguenze per il lavoratore in nero

Anche il lavoratore può incorrere in problematiche inerenti al lavoro in nero, ma questo solo nel caso in cui chi lavora in nero percepisce l’assegno di disoccupazione dell’Inps (Naspi).

In questo caso, qualora avvenisse un controllo da parte della Procura della Repubblica, il lavoratore potrebbe essere incriminato per falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico nel dichiarare il proprio stato di disoccupato all’Inps. In merito, si rischia il carcere fino a 2 anni.

C’è poi l’accusa di aver percepito erogazioni indebitamente ai danni dello Stato, anch’essa punita con la reclusione da sei mesi a tre anni. L’Inps, inoltre, chiederà il risarcimento dei danni subiti.

Argomenti correlati: Stipendio Assunzioni