Elsa Corniglio - 19 agosto 2021
Chi finanzia i talebani?
I talebani hanno preso Kabul e gli occhi dell’Occidente sono puntati sul Medio Oriente: ma chi finanzia i talebani?
I talebani che hanno preso l’Afghanistan e stanno instaurando un nuovo regime tra credo Islamico e volontà di epurazione dai manierismi occidentali, sono finanziati: ma da chi? Dove traggono il sostentamento necessario per armamenti e per portare avanti così speditamente la parola del Corano?
Chi finanzia i talebani
Pare che i talebani controllino la maggior parte del commercio e dell’economia afgana. Secondo le dichiarazioni del leader talebano Mullah Mohammad Yaqoob, nel 2020 le entrate dei talebani sono state circa 1,6 miliardi di dollari.
La cifra non è poco rilevante, dato che il Governo ufficiale afgano, sotto la guida di Ghani, aveva un introito stimato di 5,5 miliardi di dollari. Sulla provenienza di questi fondi con cui si finanziano i talebani, ci sono comunque diverse ipotesi che non per forza si escludono a vicenda.
Acqua, elettricità, telefono e tasse
Da un lato, bisogna ricordare che i talebani governavano già su alcune aree e comunità interne al territorio afgano, sulle quali imponevano dei dazi su attività commerciali o per i servizi quali l’acqua o l’elettricità, pur non controllandone la fornitura in maniera diretta.
Durante il 2018, in un’intervista alla BBC, la società elettrica dell’Afganistan stimò che i talebani riuscissero a raccogliere oltre 2 milioni di dollari ogni anno solo attraverso questo tipo di imposte in alcune aree del Paese.
Estrazione mineraria e guadagno dei talebani
Un’altra fonte di sostentamento per i talebani è l’estrazione mineraria. Il sottosuolo afgano è famoso per essere ricco di materie minerarie e fossili che spaziano dal carbone, al litio, al rame, oltre che di metalli e pietre preziose, come oro, marmo e lapislazzuli.
Si stima che l’industria mineraria dell’Afghanistan valga almeno un miliardo di dollari e pare che i talebani abbiano imposto una tassazione che fruttò circa 10 milioni all’anno, da una ventina di attività minerarie illegali nella provincia di Helmand.
Finanziamenti stranieri
In merito ai finanziamenti stranieri che i talebani possono o meno aver ricevuto, la verità è nel mezzo. Infatti, se da un lato gli Stati Uniti hanno più volte accusato il Pakistan, l’Iran, la Russia e la stessa Cina di offrire finanziamenti ai talebani in nome della comune avversione ai Governi americani, dall’altro lato, questi Paesi negano ogni cosa.
Tuttavia, si pensa che i maggiori contribuenti siano dei privati residenti in Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In merito, comunque, misurare gli afflussi di denaro arrivati dall’estero ai talebani è cosa pressoché impossibile, anche se alcuni studi stimano cifre che si aggirano intorno ai 500 milioni di dollari all’anno.
Il ruolo dell’oppio nell’economia talebana
Un’altra ipotesi che viene sostenuta riguardo alle principali fonti di sostentamento dei talebani è quella dell’economia dell’oppio; a parlarne è un rapporto del 2012 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Anche qui la questione è impervia. Infatti, se da un lato l’Afghanistan è il principale fornitore di oppio al mondo per un totale del 90% della produzione a livello planetario, dall’altro lato, i dettami sotto la cui luce i talebani si presentano dovrebbero proibire - almeno internamente e non per l’esportazione - l’utilizzo di droghe.
Tasse sulla coltivazione del papavero da oppio
Gli stessi report degli Stati Uniti stimarono che, durante il biennio 2011-2012, i talebani riuscirono a guadagnare dall’industria dell’oppio circa 100 milioni di dollari; una cifra ben inferiore rispetto al valore stimato di questa droga che si aggira intorno ai 3.6 o 4 miliardi di dollari.
In tal senso, perciò, è probabile che gli incassi dei talebani avvennero non tanto attraverso l’esportazione diretta, bensì attraverso un regime di tassazione pari al 10% sulle coltivazioni dirette in loco e spesso illegali; regime di tassazione che viene imposto dal gruppo islamico anche su altri tipi di coltivazioni.
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