Tfr pagato a rate: per il Tar è illegittimo, cambia tutto?

Tfr pagato a rate: per il Tar è illegittimo, cambia tutto?

Il Tar ha chiesto alla Consulta di rivedere la decisione di erogare il Tfr in modalità dilazionata poiché incostituzionale con quanto stabilito dall’art. 36 della Costituzione.

Con ordinanza n. 06223, del 17 maggio 2022, il Tar del Lazio ha emesso una sentenza che farà giurisprudenza e che potrà mettere in subbuglio il mondo del lavoro.

Stiamo parlando dell’illegittimità dell’erogazione dilazionata del Tfr (Trattamento di fine rapporto) che viene percepito dai dipendenti pubblici e privati quando vanno in pensione.

Ebbene, il Tar boccia la decisione della Corte Costituzionale e chiede alla Consulta di esprimersi nuovamente a riguardo, puntando il dito contro il carattere strutturale della dilazione.

Oggetto della “disputa” è la legge n. 147/2013, entrata in vigore dal 1° gennaio 2014, che stabilisce la dilazione e rateizzazione del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio per i dipendenti pubblici (liquidazione).

La corresponsione avviene in più importi a seconda dell’ammontare della prestazione al lordo delle trattenute fiscali.

La misura riguarda tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, compreso il personale degli enti pubblici non economici, i parastatali, non iscritto all’Indap (Istituto Nazionale di Previdenza e assistenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica).

Ma cosa dice effettivamente la sentenza del Tar Lazio e come cambierà il pagamento del Tfr che, attualmente, è a rate?

Tfr: che cos’è e chi riguarda

Il Trattamento di fine Rapporto è la somma di denaro corrisposta al lavoratore nel momento in cui questi va in pensione, ovvero sia quando termina il servizio.

L’importo è determinato dall’accantonamento, per ogni anno di servizio o frazione di anno, di una quota pari al 6,91% della retribuzione annua e dalle relative rivalutazioni. In caso di frazione di anno, la quota è ridotta in maniera proporzionale e si calcola come mese intero la frazione di mese uguale o superiore a 15 giorni.

Dal 1° maggio 2014, la retribuzione annua lorda considerata come base del calcolo non può eccedere la soglia di 240mila euro.

Il Trf è rivolto ai dipendenti pubblici assunti con:

  • Contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000, eccetto le categorie cosiddette "non contrattualizzate";
  • Contratto a tempo determinato in corso o successivo al 30 maggio 2000 e della durata minima di 15 giorni continuativi nel mese;
  • Contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000 e che aderisce a un fondo di previdenza complementare (il passaggio al TFR è automatico).

Se il rapporto di lavoro è giunto a conclusione prima del 2 giugno 1999 e fino al 30 maggio 2000 si attua l’iscrizione al TFS (Trattamento di Fine Servizio) che comprende l’indennità di buonuscita e il premio di servizio.

Il Tfs costituisce il montante a cui si aggiungono le quote di Tfr maturate nel periodo compreso tra il 31 maggio 2000 e il termine del rapporto di lavoro.

Tfr: come viene pagato

A partire dal 1° gennaio 2014, ai dipendenti pubblici che hanno terminato il servizio e hanno i requisiti per andare in pensione, secondo quanto stabilisce l’art. 1, comma 484, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013, il Tfr e il Tfs vengono pagati:

  • In unica soluzione, se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 50.000 euro;
  • In due rate annuali, se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 50.000 euro e inferiore a 100.000 euro (la prima rata è pari a 50.000 euro e la seconda è pari all’importo residuo);
  • In tre rate annuali, se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 100.000 euro. In questo caso la prima e la seconda rata sono pari a 50.000 euro e la terza è pari all’importo residuo. La seconda e la terza somma saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento della prima.

Il nodo della questione sta proprio qui, nei tempi dilatati. In particolar modo quello che ha destato perplessità nel Tar Lazio è l’erogazione della seconda e terza rata che vengono corrisposte a distanza di 12 e 24 mesi dall’aver ricevuto la prima rata, il cui termine decorre a partire da 12/24 mesi dalla cessazione del servizio.

Tfr: la sentenza del Tar Lazio

Il Tar del Lazio ha messo in discussione la compatibilità tra gli artt. 3, comma 2, del d.l. 79//1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, con l’art. 36 della Costituzione che recita:

“Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.”

Da qui, nasce il dubbio di incompatibilità, alimentato dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 159 del 25 giugno 2019) con la quale la Consulta ha convalidato almeno parzialmente il meccanismo della dilazione e il pagamento a rate della buonuscita per i dipendenti del settore pubblico che vanno in quiescenza, con particolare riguardo ai lavoratori che non hanno raggiunto i limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza.

Secondo la giurisprudenza della Corte, le indennità di fine rapporto “costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita - appunto in funzione previdenziale - onde agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione” (sentenza n. 458/2005). La natura della retribuzione differita è collegata a una concorrente funzione previdenziale (cfr. sentenza n. 438/2005).

Pertanto, la retribuzione non deve perdere il collegamento con la prestazione lavorativa svolta, ma deve anche essere adeguata e sufficiente, nel rispetto dell’art. 36 della Costituzione, avendo a riguardo non solo l’entità della retribuzione, ma anche la tempestività della corresponsione.

In altre parole, il lavoratore non può aspettare troppo per ricevere quanto dovuto. Il Tar sentenzia che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente.

Ed è proprio sulla base del carattere di retribuzione differita, riconosciuta alle indennità di fine rapporto, che diventa necessario che anche queste vengano corrisposte tempestivamente e non diluite strutturalmente oltre la fuoriuscita dal mondo del lavoro.

A maggior ragione, spiega il Tar, se si considera che il lavoratore del settore pubblico o privato ha esigenza di spendere la somma di denaro che gli spetta in impegni finanziaria o personali.

Per superare lo scrutinio di incostituzionalità, il Tar ha ricordato anche che la Corte Costituzionale (sentenze n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016) ha più volte affermato che la misura del dilazionamento o rateizzazione del Tfr deve riguardare un arco temporale ben preciso e non uno indefinito e può essere messa in atto quando c’è una crisi contingente e nella misura di una tantum.

Sebbene legata ad una crisi contingente, la misura non ha una durata prestabilita ma ha assunto un carattere strutturale, quindi non essendoci i presupposti perché quanto emanato dalla Corte Costituzionale diventi la normalità, secondo il Tar Lazio la Consulta deve rivedere la sua decisione e modificarla, tenendo conto della compatibilità di quanto verrà espresso con l’art. 36 della Costituzione.

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