Terremoto, le zone più a rischio in Italia

Terremoto, le zone più a rischio in Italia

L’Italia è un territorio ad alto rischio sismico. Ecco le zone dove i terremoti sono più probabili.

La scossa di terremoto di magnitudo 5.7 che ha colpito il centro Italia, con epicentro nelle Marche, a 10km dalla costa pesarese, è stata avvertita anche a Roma, Firenze, Bologna e in Friuli-Venezia-Giulia ed ha riacceso i riflettori su quanto sia fragile il nostro Paese. In Italia, le zone a rischio terremoto sono molte, alcune più di altre.

Quello delle Marche, avvenuto dopo le 7:00 del mattino, è il terremoto più forte dal 1930, quando ci fu quello di Senigallia con magnitudo 5.8, come rilevato dall’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia). Lo sciame sismico è durato per tre ore, con altre 40 scosse.

Vediamo insieme le ragioni per cui si verificano i terremoti e perché l’Italia è così a rischio.

Terremoti in Italia: perché si verificano

L’Italia è universalmente riconosciuto come un Paese ad elevato rischio sismico. I terremoti generano perdite in termini di vite umane, danni alle costruzioni e relativi costi diretti e indiretti che si devono affrontare dopo il sisma.

Il motivo per cui l’Italia è ad alto rischio sismico è legato alla sua posizione geografica, situata tra la zolla africana e quella euroasiatica. Questa collocazione sottopone il nostro territorio a forti spinte compressive, che generano l’accavallamento dei blocchi di roccia, dando origine ai terremoti.

Infatti, i terremoti sono avvenimenti naturali originati proprio dalla collisione delle placche tettoniche. Muovendosi ad una velocità molto bassa, queste generano una frizione e quindi un accumulo elevato di energia. Quando la frizione raggiunge il punto critico: ecco che si ha la frattura e quindi le onde sismiche si diffondono fino alla superficie della terra.

Tendenzialmente, un terremoto non dura più di un paio di minuti; tuttavia, anche pochi secondi ma con una forte intensità possono dare vita ad un’azione distruttiva senza precedenti.

Terremoti in Italia: il rischio sismico

La sismicità, ovvero la frequenza e forza con cui si verificano dei terremoti, è una caratteristica distintiva di un territorio al pari del clima, dei rilievi montuosi o dei corsi d’acqua. Essa viene definita in base alla frequenza ed energia dei terremoti attribuendo un valore di probabilità al verificarsi di un evento sismico di una certa magnitudo, in un certo intervallo di tempo.

Da qui si arriva a calcolare il rischio sismico che è un calcolo matematico che si effettua per valutare il danno dopo un possibile evento sismico.

Più si stima che il danno possa essere elevato, maggiore sarà il rischio sismico. I fattori decisivi per il calcolo sono:

  • Pericolosità: il rischio che si verifichi un terremoto;
  • Vulnerabilità: le conseguenze del terremoto, capacità degli edifici di sopportare l’evento;
  • Esposizione: conseguenze socio-economiche.

Terremoti in Italia: come si calcola l’intensità

Per calcolare l’intensità di un terremoto esistono due scale differenti:

  • Scala Mercalli: che misura l’intensità da 1 a 12 gradi e quantifica gli effetti visivi prodotti sull’ambiente e gli edifici;
  • Scala Richter che viene misurata con i sismografi.

Dal momento che si tratta di un evento imprevedibile, ad oggi non esistono ancora macchinari in grado di anticipare un terremoto e la sua intensità.

Terremoti in Italia: le zone più a rischio

I fenomeni sismici hanno una concentrazione più elevata nella zona centro-meridionale dell’Italia; tuttavia, l’intero Paese è interessato dal fenomeno del terremoto. Nella fattispecie:

  • Nord-Est: Friuli Venezia-Giulia, parte del Veneto e la Liguria Occidentale;
  • Appennino centrale: Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano e Irpinia;

Il Nord-Est è ad alto rischio sismico per via della vicinanza delle due placche terrestri che si urtano tra di loro. La zona appenninica, invece, risente della presenza della placca adriatica che tende a spingere verso i Balcani.

A partire dal 2003, l’Italia è stata divisa in 4 zone in base al grado di rischio sismico. Si va dalla zona 1 che è l’area più pericolosa, fino alla zona 4 che è quella dove la possibilità di un terremoto è decisamente più bassa:

  • Zona 1: Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Umbria, Molise, Campania, Sicilia;
  • Zona 2: Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Puglia e Basilicata;
  • Zona 3: Lombardia, Toscana, Liguria e Piemonte;
  • Zona 4: Sardegna, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.

Terremoti in Italia: danni

I danni provocati dai terremoti in Italia sono enormi, sia dal punto di vista paesaggistico, infrastrutturale ed economico. Negli ultimi 40 anni sono stati impiegati circa 135 miliardi di euro per il ripristino e la ricostruzione post-terremoto.

Tuttavia, ci sono ancora realtà che vivono i segni della distruzione e il processo di ricostruzione non è stato ancora completato. Si pensi al caso del terremoto dell’Irpinia nel 1980, di quello de L’Aquila e di quello che ha colpito Amatrice.

Ai danni economici, si aggiungono anche quelli sul patrimonio storico, artistico e monumentale del nostro Paese.

Sul sito della Protezione Civile viene indicato come in Italia, il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l’energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri Paesi ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone.

Terremoti in Italia: bilancio

In 2.500 anni, si sono verificati nel nostro Paese più di 3.000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala Mercalli e da circa 560 eventi sismici di intensità pari o superiore all’VIII grado della suddetta scala sismica. La media è di un terremoto ogni 4 anni e mezzo.

Nel XX secolo, sono stati 7 i terremoti che hanno fatto registrare una magnitudo uguale o superiore a 6.5 (tra il X e l’XI grado della scala Mercalli).

Ad esempio, il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000; danno economico: circa 10 miliardi di euro) confrontabile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di $ USA), malgrado fosse caratterizzato da un’energia circa 30 volte inferiore.

Ciò è dovuto principalmente all’elevata densità abitativa e alla notevole fragilità del nostro patrimonio edilizio.

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