Stop pensione invalidità dopo i 65 anni: cosa dice la sentenza della Cassazione

Stop pensione invalidità dopo i 65 anni: cosa dice la sentenza della Cassazione

La Cassazione stabilisce la fine dell’erogazione della pensione di invalidità dopo i 65 anni. Le motivazioni dell’ordinanza.

La Corte di Cassazione ha messo uno stop alla pensione di invalidità dopo i 65 anni. Nell’ordinanza n. 3011/2023 viene stabilito che oltre i 65 anni le eventuali pensioni di inabilità o di invalidità civile non posso essere riconosciute.

La Cassazione ha dichiarato che “la pensione d’inabilità nonché l’assegno di invalidità civile non possono essere riconosciuti a favore di soggetti il cui stato d’invalidità si sia perfezionato con decorrenza successiva al compimento dei sessantacinque anni, come si evince dal complessivo sistema normativo, che, per gli ultrasessantacinquenni, prevede l’alternativo beneficio della pensione sociale”.

Il caso preso in esame dalla Suprema Corte riguardava una signore che aveva chiesto l’accertamento della propria invalidità civile, procedimento che era stato respinto dal tribunale, ma accolto in Appello, dove le veniva riconosciuta la sussistenza del requisiti da gennaio 2015.

In quel momento, la titolare della pensione aveva già compiuto i 65 anni. Pertanto, l’Inps ha deciso di presentare ricorso in Cassazione.

La situazione su cui si è espressa la Cassazione risale a molto tempo fa e non tiene conto degli adeguamenti annuali recenti. Analizziamola più da vicino e capiamo come è intervenuta la Cassazione e soprattutto se la soglia di età per la pensione di invalidità è rimasta la stessa.

Stop pensione invalidità dopo i 65 anni: come stanno le cose

La Cassazione si è espressa sul caso di una signora che aveva richiesto l’accertamento della propria invalidità.

Al momento della domanda, la suddetta aveva già compiuto i 65 anni, per tale motivo la sua richiesta è stata respinta dal tribunale, ma accolta in appello, tant’è che la donna ha ottenuto il riconoscimento della pensione di invalidità da gennaio 2015, come disposto dalla Corte d’Appello.

Avendo la donna già compiuto i 65 anni, l’Inps ha fatto ricorso in Cassazione, che ha accolto la richiesta, sulla base del decreto legislativo n. 509/1988.

L’art.8 del citato decreto, stabilisce che la pensione di invalidità viene riconosciuta alle persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Un principio giuridico già previsto ma evidentemente mal interpretato in appello.

Alla luce della norma e degli adeguamenti annuali dell’epoca di riferimento, la richiesta dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale è del tutto legittima, e la signora avrebbe dovuto perdere il trattamento pensionistico di invalidità al compimento dei 65 anni e non acquisirlo, com’è invece accaduto.

Ma allora: la soglia anagrafica toglie del tutto la possibilità di accedere alla pensione di invalidità a chi ne ha diritto? No. I cittadini non perdono il trattamento per via della soglia anagrafica. Ci spieghiamo meglio.

Il decreto n. 509/1988 stabilisce l’età massima per accedere alla pensione di invalidità, ma spiega anche che superata quella soglia, chi ne ha diritto, può avere accesso ad un beneficio alternativo, ovvero l’assegno sociale, anche in misura sostitutiva di altri trattamenti già erogati fino all’età massima consentita dalla legge.

Pensione di invalidità dopo i 65 anni: non verrà più erogata?

Come abbiamo visto, la legge stabilisce che la pensione di inabilità e quella di invalidità non possono essere richieste al superamento dei 65 anni di età, oggi diventati 67 al netto degli adeguamenti annuali.

Va da sé che chi oggi ha compiuto 67 anni non può dare domanda per la pensione di invalidità o continuare a percepirla, ma deve ricorre all’assegno sociale, la misura che si sostituisce alla pensione di invalidità.

Nel 2023, l’invalidità civile e l’inabilità sono riconosciute dai 18 ai 67 anni. Il principio legale, difatti, è elastico nell’accogliere gli aggiornamenti circa l’età pensionistica che non possono essere fissi e irremovibili, ma appunto cambiano di anno in anno.

L’ordinanza della Corte di Cassazione ci insegna che compiuta l’età di accesso per l’assegno sociale si perde il diritto alla pensione di invalidità e inabilità, che vengono sostituiti con l’assegno, che altro non è che l’ex pensione sociale.

Il parere della Cassazione si contestualizza nell’arco temporale di riferimento in cui si è svolto il caso e riflette la norma che, ricordiamo, non è rigida. Infatti, l’art. 8 del decreto legislativo n. 509/1988 non è fermo nel fissare l’età massima per la pensione di invalidità e civile, ma mette in risalto quelli che sono i requisiti e le condizioni previste dalla normativa vigente.

Ma fa anche di più. L’art. 8 stabilisce che se l’importo dell’assegno sociale è basso rispetto a quello ricevuto dal percettore della pensione è necessaria un’integrazione che vada a colmate il gap, con un assegno ad personam a carico del Ministero dell’Interno.

Quindi, arrivati alla soglia dei 67 anni, chi ne ha diritto non perde il trattamento.

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