Ricostruzione Ucraina: cosa tocca all’Italia e perché è una beffa

Ricostruzione Ucraina: cosa tocca all'Italia e perché è una beffa

La road map della ricostruzione dell’Ucraina post-bellica assegna all’Italia un’area molto complicata, in primis perché c’è la guerra da quasi otto anni e perché è a maggioranza filorussa.

Sebbene la guerra in Ucraina continui ad imperversare e non ci sia il minimo accenno ad una de-escalation del conflitto, a Lugano, nel corso della “Conferenza per la ripresa dell’Ucraina”, il primo ministro ucraino Denys Shmyhal ha mostrato un bel grafico, con tanto di slide, per rendere noto ai partner aderenti, 40 Paesi e 20 organizzazioni internazionali, il piano messo a punto per la ricostruzione della Nazione dopo la fine del conflitto.

Si tratta di un piano ambizioso e dispendioso. Una ricostruzione che verrebbe a costare all’Occidente, che dovrà farsi carico delle spese, ben 750 miliardi di dollari, oltre a molteplici investimenti e riforme, spalmati nel decennio 2023-2032, mettendo in cantiere 850 progetti.

A ciascun Paese è stata assegnata una porzione di territorio ucraino di cui occuparsi e all’Italia è toccata quella più complicata e c’è già chi parla di beffa.

Ricostruzione Ucraina: cosa è toccato all’Italia

All’Italia è toccata una bella gatta da pelare: il Donetsk. Il nostro Paese, insieme alla Polonia, si occuperà della ricostruzione di quella che è di fatto una repubblica separatista indipendente e filorussa.

Per il Fatto Quotidiano, le assegnazioni non sarebbero casuali, infatti Kiev “avrebbe riservato il meglio ai partner più generosi in termini di sostegno politico, di armi inviate e di aiuti erogati”.

Stando a queste dichiarazioni, capire se al nostro Paese è andata bene o male è come decidere se un bicchiere riempito a metà è mezzo pieno o mezzo vuoto.

Fatto sta che il Donetsk non è un territorio per nulla facile. Ora c’è la guerra, è vero, ma anche quando non c’era non ha mai mostrato particolare propensione verso l’Occidente, tant’è che la maggior parte della popolazione, circa 1 milione di abitanti, non solo è filorussa, ma vuole rimanere ancorata al mito dell’ex Unione sovietica.

Assegnare all’Italia l’oblast di Donetsk è, da parte degli ucraini, un atto di fede, una convinzione cieca che una volta terminata la guerra l’Ucraina si riapproprierà di tutti i territori, anche di quelli sui quali da prima del 24 febbraio 2022 non esercitava nessun controllo.

Infatti, dal 2014 la città di Donetsk è amministrata de facto dai separatisti filorussi. Gli italiani si ritroverebbero nella paradossale condizione di dover ricostruire gli edifici che gli stessi ucraini hanno bombardato per riprendere in mano il controllo della città.

È un pensiero tanto ambizioso quanto sconsiderato, specie se a Kiev credono davvero che Putin accetterà di arrivare ad una trattativa senza avere nulla in cambio. Ad oggi, le quotazioni che Zelensky possa vincere la guerra sono molto basse.

Credo che sia nell’interesse dell’Italia, anche del suo interesse immediato, cooperare con l’Unione Europea innanzitutto e con la comunità internazionale, alla ricostruzione dell’Ucraina - ha commentato il nostro sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova che ha partecipato alla conferenza di Lugano -. In prospettiva aiutiamoli a difendersi, ma pensiamo che l’Ucraina dovrà essere ricostruita e diamo il messaggio all’aggressore, a Putin, che un pezzo della comunità internazionale, Unione Europea, America, Canada, Giappone, Corea del Sud è al fianco dell’Ucraina e sarà al fianco dell’Ucraina anche per la ricostruzione

Ricostruzione Ucraina: cosa è toccato alle altre Nazioni

Se all’Italia e alla Polonia è stata affidata la ricostruzione della città di Donetsk, a Stati Uniti e Turchia è stata data Kharkiv, il Regno Unito si occuperò di Kiev, la Francia di Odessa, il Canada di Sumy, la Grecia di Mariupol (il ministro della cultura Dario Franceschini si era impegnato a ricostruire il teatro andato distrutto), la Germania di Chernihiv e così via.

Ricostruzione Ucraina: come reperire i fondi

Trovare 750 miliardi di dollari non è cosa da poco e, al momento, l’Occidente non ha la più pallida idea di dove reperire una somma ingente che renderà, post-guerra, l’Ucraina un cantiere a cielo aperto.

Bisogna ricostruire da zero intere aree completamente distrutte, mettere in piedi scuole, ospedali, edifici, garantire i servizi essenziali, dando un’impronta green.

Non è semplice, in particolar modo perché la certezza che la guerra finirà entro quest’anno e dal 2023 si potranno iniziare i lavori è davvero nutrire estrema fiducia in qualcosa che, allo stato attuale, appare lontano ed irrealizzabile.
Ma forse più che un auspicio è una presa di coscienza che la resistenza ucraina non potrà andare avanti per molto.

Quindi, se davvero il 2023 sarà l’inizio della ricostruzione dell’Ucraina, l’Occidente dovrà ingegnarsi e trovare i soldi. Si vocifera che si farà affidamento sulle donazioni, sugli eurobond e sull’utilizzo di 300 miliardi di beni congelati a governo, aziende e cittadini russi.

Ma c’è già chi è più disfattista (o realista) e pensa che i Tribunali non consentiranno una confisca di queste proporzioni.