Perché Mattarella ha rifiutato le dimissioni di Draghi?

Perché Mattarella ha rifiutato le dimissioni di Draghi?

Il Presidente della Repubblica ha rimandato la crisi di governo alla valutazione del Parlamento. Lo strappo dei 5Stelle sul Dl Aiuti non è andato giù al premier.

Tutto ci saremmo aspettati tranne che si aprisse una nuova, l’ennesima, crisi di governo. Eppure, le avvisaglie c’erano tutte. Forse siamo stati un po’ troppo creduloni nel ritenere che tra i pentastellati potesse prevalere quel senso di responsabilità al quale lo scissionista Luigi Di Maio ha fatto appello in più sedi.

Lo strappo si è consumato ieri in Senato, quando il Movimento 5Stelle si è astenuto sulla fiducia al Decreto Aiuti. Un appoggio considerato una conditio sine qua non dal premier Mario Draghi per potare avanti una maggioranza ballerina, preda degli stati umorali di Giuseppe Conte, già in modalità campagna elettorale.

Tenersi stretti quei pochi capisaldi del Movimento, il niet al termovalorizzatore a Roma è uno di questi, consentirebbe a Conte e ai suoi seguaci di raggranellare quel po’ di fiducia persa per strada tra il suo elettorato e sperare che alle votazioni non facciano la fine di una meteora.

Occorre salvare la pelle, a costo anche della tenuta del governo Draghi, nato per contrastare la crisi economica, arginare il dilagare della pandemia, mettere a punto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e fronteggiare i risvolti che la guerra in Ucraina, caduta tra capo e collo, ha generato.

Il premier Draghi, venuto meno il voto dei pentastellati in Senato, ha deciso di rassegnare le proprie dimissioni da Presidente del Consiglio, dopo uno stringato e duro intervento.

Tuttavia, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha respinto le dimissioni di Draghi e rimandato la questione in Parlamento. Perché?

Mattarella respinge le dimissioni di Draghi: perché?

Nella nota diramata dal Quirinale si legge che Mattarella:

“non ha accolto le dimissioni e ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica”.

La crisi va parlamentarizzata. Tutto si dovrà “consumare” in Parlamento, dal momento che è una crisi interna alla maggioranza di governo. Draghi parlerà alle Camere mercoledì, un paio di giorni per riflettere a mente fredda.

L’obiettivo del Quirinale potrebbe essere quello di sedare gli animi e proseguire con Draghi alla guida del Paese fino a fine legislatura.

Ci sono i contratti per le forniture di gas da completare (il 18 e 19 luglio ci sarà un incontro in Algeria e inviare un premier dimissionario a negoziare le trattative non è il massimo a livello di credibilità nazionale), c’è ancora la guerra, la crisi economica: aspetti che sembrano non interessare ai 5Stelle, interessati sono a riguadagnarsi la fiducia di un elettorato al quale hanno fatto digerire ben di peggio che un sì al termovalorizzatore.

Il discorso di Draghi e l’ipotesi di un governo bis

Nel corso di un Consiglio dei ministri breve e molto duro, il premier Draghi ha detto che “la maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più”, e che “è venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo”.

In più occasioni, il presidente del Consiglio aveva ribadito che un governo senza i 5Stelle non sarebbe stato possibile: “Io ho già detto che per me non esiste questo governo senza i 5 Stelle, e non esiste un governo Draghi altro da questo”.

In ogni caso, la maggioranza di governo c’è. Il Decreto Aiuti ha ottenuto la fiducia con 172 sì e 39 no, tutti i 5Stelle si sono astenuti. Una fiducia senza il Movimento e questo fa ben sperare per un Draghi bis, sebbene il premier lo escluda.

A voto ancora in corso, Draghi era salito al Colle per incontrarsi con Mattarella, in seguito era tornato in CDM per cercare di testare il terreno e capire se c’erano le condizioni per proseguire l’azione di governo.

Appurato che il rapporto in seno alla maggioranza si era incrinato, l’ex presidente della Bce è tornato al Quirinale per presentare le sue dimissioni, che sono state respinte.

Lo spauracchio del voto

Le elezioni sono agognate e temute allo stesso tempo. I partiti sono in fibrillazione e c’è chi non vede l’ora di recarsi alle urne per testare quanto è cresciuto in questi mesi a livello di elettorato (vedi Fratelli d’Italia).

Tuttavia, se Draghi non dovesse ottenere la fiducia della maggioranza e non dovesse accettare un rimasto e quindi un governo bis, l’unica strada percorribile sarebbe il voto.

Si andrebbe a votare con il Rosatellum bis, in vigore dal 2017. Un sistema elettorale misto a separazione completa: in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico mentre il 61% degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante un meccanismo proporzionale corretto con le diverse clausole di sbarramento.

Le candidature per quest’ultima componente sono presentate nell’ambito di collegi plurinominali a ognuno dei quali spetta un numero prefissato di seggi. L’elettore non dispone del voto di preferenza né di quello disgiunto.

La Costituzione stabilisce altresì che otto deputati e quattro senatori debbano essere prescelti dai cittadini italiani residenti all’estero. A partire dalla XIX legislatura si avranno in carica 400 deputati e 200 senatori elettivi.