Paola Gentile - 15 aprile 2022
Licenziamento per il dipendente pubblico che critica l’amministrazione sui social: attenzione alle novità
Attenzione ai messaggi che si scrivono sui social contro la Pubblica amministrazione, si rischia il licenziamento.
Il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri, che aggiorna il Dpr 62/2013 relativo al “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici”, prevede nuove regole verso chi utilizza i social network per denigrare la Pubblica amministrazione per la quale lavora.
All’interno dell’aggiornamento, infatti, è prevista una sezione proprio dedicata all’uso dei social, comprese le chat WhatsApp, al fine di tutelare e preservare l’immagine della Pa.
Il provvedimento riguarderà più di 3 milioni di dipendenti della Pubblica amministrazione. Inoltre, i neoassunti dovranno svolgere un ciclo di formazione sui temi dell’etica pubblica e del comportamento etico, la cui durata e intensità varia a seconda del grado di responsabilità ricoperto.
Cos’è l’open badge
L’aggiornamento del Dpr 62/2013 sul “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” punta a formare eticamente i dipendenti della Pa, con un investimento in formazione davvero notevole.
Ad ogni impiegato verrà rilasciato un “open badge” con i corsi frequentati e i test superati, i dati complessivi saranno registrati in un fascicolo delle competenze.
Cosa si rischia a denigrare la Pa
Se un dirigente pubblico viene a conoscenza di una conversazione, anche privata, ritenuta offensiva, può prendere pesanti provvedimenti nei confronti del pubblico impiegato che vanno dalle sanzioni disciplinari al licenziamento.
Il precedente
In una recente sentenza del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) della Sardegna (n. 174/2022) questi aveva posto il veto sulla pratica di insultare o denigrare la propria Pa nelle chat di WhatsApp dei dipendenti pubblici.
Anche se la conversazione viene cancellata, ma il dirigente pubblico ne viene a conoscenza, basta questo per valutare la rilevanza disciplinare delle pesanti parole scritte sul conto dell’Amministrazione. E a nulla serve specificare se la conversazione denigratoria è avvenuta in una chat privata e non aperta a terzi, (per sapere come funziona WhatsApp leggi qui).
Nel caso posto al vaglio del TAR Sardegna, la motivazione della sentenza è stata:
“(…) avviava una conversazione di messaggistica istantanea (whatsapp) […] inoltrando allo stesso una serie di messaggi contenenti commenti, valutazioni, suggerimenti: lesivi del prestigio di Ufficiali di grado superiore; evocativi di una generale condizione di inaffidabilità del contesto di servizio cui l’interessato è stato destinato; tesi a minare il clima organizzativo e la serenità del personale […]”.
Tuttavia, il TAR precisa anche che, riguardo alle Amministrazioni che operano nei settori più delicati, per ricevere un rimprovero o una sanzione è sufficiente essere titolari di affermazioni che non necessariamente sfociano nel penale. Vale a dire che, anche se non si va nel penale, ma si reca danno all’Amministrazione, attraverso le parole, si può comunque essere soggetti a rimproveri o sanzioni più gravi.
Inoltre, queste disposizioni valgono per il pubblico impiego e non per il settore privato. Inoltre, per configurarsi il reato di diffamazione, non è necessaria la pubblica comunicazione, ma basta anche solo una comunicazione privata e riservata per far scattare il provvedimento.
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