Forze armate e polizia, così può aumentare la pensione

Forze armate e polizia, così può aumentare la pensione

SIULP e SIAP propongono di alzare il coefficiente di trasformazione per la pensione di vecchiaia e creare una previdenza dedicata.

I problemi legati al mondo pensionistico militare e delle forze di polizia potrebbero diventare ancora più stringenti dopo il 2030 se non verranno attuate le disposizioni per garantire il finanziamento di un fondo perequativo (qui).

La riforma pensionistica a cui sta pensando il governo per il 2023 potrebbe scompigliare le cose e porre fine ad alcuni “privilegi” di cui godono le Forze armate e di Polizia proprio in virtù della loro specificità, come ad esempio la pensione di anzianità anticipata che potrebbe subire il processo di revisione voluto dal governo.

La proposta dei sindacati SIULP (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia) e SIAP (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia) consiste nel fissare un coefficiente di trasformazione più alto per la liquidazione della pensione di vecchiaia per il Comparto Difesa e Sicurezza in luogo dell’istituzione della previdenza complementare.

Come può aumentare la pensione

I sindacati SIULP e SIAP hanno avanzato la proposta di aumentare il coefficiente di trasformazione della pensione INPS per risolvere il problema della mancata istituzione della previdenza complementare per il settore. La previdenza complementare consiste nella costruzione di una posizione pensionistica integrativa rispetto a quella garantita dalle forme di previdenza obbligatorie.

La pensione di vecchiaia corrisponde all’età anagrafica, che per il personale civile è a 67 anni. Com’è noto per il personale in divisa l’età di decorrenza della pensione avviene con il conseguimento di un’età molto inferiore rispetto ai dipendenti pubblici, proprio in virtù della specificità dell’ordinamento.

Conviene passare alla previdenza integrativa?

Le sigle delle Forze di Polizia, come riporta Pensionioggi.it, considerano errato aver chiesto il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione della previdenza complementare (obbligo previsto dalla legge n. 355/1995) e, secondo la magistratura contabile, il danno risarcibile va collegato alla comparazione con altri fondi integrativi, stabilendo che il ristoro debba essere commisurato ad un

“quarto della differenza eventualmente riscontrata tra il rendimento conseguito da chi già ha attivato la previdenza complementare - pertanto con la trasformazione del TFS in TFR - e chi invece ha mantenuto il tradizionale sistema di trattamento di fine servizio”.

Tuttavia, considerato che il personale militare gode di numerosi vantaggi sul TFS (Trattamento di Fine Servizio) come:

  • Sei scatti;
  • Tassazione agevolata;
  • Riscatto del quinto;

con una cifra che va dai 12 ai 18 mila euro a seconda della qualifica ricoperta, passare ad un regime di previdenza integrativa, con le stesse modalità applicate ai dipendenti pubblici, per il personale in divisa rappresenterebbe uno svantaggio, soprattutto legato alla fine del TFS e, con il passaggio al TFR (Trattamento di Fine Rapporto) si vedrebbero tolti quei vantaggi che di cui godono grazie al TFS.

La cifra cui abbiamo fatto cenno prima difficilmente verrebbe recuperata in regime di TFR, in un momento in cui i fondi della previdenza complementare sono pochi.
Inoltre, la magistratura contabile ha anche bocciato l’ipotesi di mantenere il sistema retributivo, in virtù della mancata attuazione della previdenza integrativa.

Cosa propongono SIULP e SIAP

Appurato che il sistema della previdenza integrativa applicato alle Forze armate e di Polizia risulterebbe più un danno che un beneficio, le due sigle sindacati delle Forze di Polizia chiedono che venga messo in atto un “nuovo percorso” al fine di individuare una “ previdenza dedicata ”, ma non complementare nella forma fino ad ora conosciuta, che intervenga sul meccanismo di calcolo della pensione pubblica obbligatoria.

Per il pensionamento di vecchiaia si potrebbe utilizzare il coefficiente di trasformazione riferito all’età anagrafica prevista per il trattamento di vecchiaia della generalità dei dipendenti pubblici (cioè 67 anni), anziché quello, ben inferiore, legato all’età dell’assicurato al momento della decorrenza del trattamento che, di regola, il personale consegue a 60 anni (salvo eccezioni).

L’aumento avvantaggerebbe gli iscritti privi di contribuzione al 31 dicembre 1995 senza mettere in discussione i diritti acquisiti: sei scatti, moltiplicatore della base pensionabile e TFS.

Per i sindacati, come riporta Pensionioggi.it, i tempi per fare questo passo in avanti sarebbero maturi, considerato anche che nella Legge di bilancio 2022 è stato stanziato un fondo presso il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) per la realizzazione di interventi perequativi di natura previdenziale per il personale delle Forze armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco.

Il fondo consta di:

  • 20 milioni di euro per il 2022;
  • 40 milioni di euro per il 2023;
  • 60 milioni di euro per il 2024;

e le risorse potrebbero essere investite per dare vita ad una previdenza dedicata.