Pensione militari: servono più i fondi perequativi o complementari?

Pensione militari: servono più i fondi perequativi o complementari?

Il sistema pensionistico reggerà finché verranno stanziate risorse per il fondo perequativo.

Per i militari servono fondi perequativi e non complementari. Di questo ne è certo il delegato Co.Ce.R. e segretario generale dell’Unione Sindacale Italiana Carabinieri (USIC), Antonio Tarallo.

Intervistato da LabParlamento, Tarallo si è anche espresso circa il nuovo Fondo Pre.Si.Di., il fondo di pensione complementare che riguarda i settori della Previdenza, Sicurezza e Difesa.

Tra le due opzioni, Tarallo non ha dubbi che la strada da percorrere sia quella del fondo perequativo, come quello stanziato nella Legge di Bilancio 2022 e che i fondi complementari sono solo “utili a chi li propone, allo Stato ma non a chi contribuisce”.

Pensione militari: fondo perequativo o complementare?

Antonio Tarallo, delegato Cocer carabinieri e segretario generale dell’Unione Sindacale Italiana Carabinieri (USIC), non si è sottratto alle domande di LabParlamento ed ha risposto in maniera puntuale sul neonato Fondo Pre.Si.Di. “al momento sul loro sito si scrive solo di ricorso sul mancato avvio della previdenza complementare e non dei contenuti di questo neonato fondo”.

Sottolineando come lui sia “contrario alla previdenza complementare e ne posso dimostrare i tragici effetti”. Inoltre, Tarallo ha espresso la sua contrarietà anche ai “fondi assicurativi privati che sicuramente non potranno avvalersi neanche del contributo dello Stato”.

Pensione militari: i tragici effetti della previdenza complementare

Tarallo ha fatto un esempio calzante per mettere in evidenza quelli che lui definisce “i tragici effetti della previdenza complementare”.

Un carabiniere neoassunto nel 2022 andrà in pensione nel 2059 con il grado di Appuntato Scelto qualifica speciale. Ora, il suddetto carabiniere percepirà una pensione di circa il 67% dell’ultimo stipendio (per sapere quanto guadagna un carabiniere clicca qui); nonché un Trattamento di Fine Servizio (TFS) di circa 140.000 netti da percepire secondo le attuali norme o con una rendita mensile netta intorno ai 570 euro.

Se il suddetto carabiniere, oggi, avvia una previdenza complementare con passaggio obbligatorio da TFS a TFR (Trattamento di Fine Rapporto) “gli sarà riconosciuto complessivamente un Trattamento di Fine Rapporto comprensivo di tutto di circa 95.000 netti, con una rendita mensile intorno ai 390 euro netti ma non percepirà nessuna buonuscita”.

La differenza per Tarallo è sostanziale, inoltre, la legge Dini del 1995 ha eliminato tutti i vantaggi pensionistici ad eccezione del TFS per il Comparto Difesa e Sicurezza, “posso capire lo Stato che cerca di porre rimedio a questo, ma non giustifico gli appartenenti al settore (sindacati militari) che perseguono lo stesso obiettivo dello Stato”.

Le ipotesi citate da Tarallo scaturiscono da studi avviati fin dagli inizi del 2000.

Pensione militari: la soluzione

Per Tarallo la soluzione già c’è, ed è:

“il finanziamento nell’ultima Legge di Bilancio (richiesto fortemente dal Co.Ce.R. e se mi posso permettere dal sottoscritto) per la creazione di un Fondo Perequativo al fine di aumentare quel 67% di cui abbiamo parlato ed attraverso lo stesso finanziare il ddl Pinotti già presentato in Senato, che sostanzialmente riconosce il coefficiente di trasformazione dei 67 anni al Comparto il cui limite ordinamentale per i contrattualizzati è di 60 anni”.

Investire in questo senso è per Tarallo la cosa giusta da fare, magari richiedendo allo Stato di aggiungere nel futuro ulteriori risorse. In questo modo “non si chiede al personale in divisa di dover finanziare la pensione con le proprie risorse economiche”.

I problemi si inizieranno a manifestare dopo il 2030, se il fondo perequativo non verrà finanziato.

Infine, Tarallo dà un consiglio ai giovani, ovvero sia quello di “investire nella previdenza integrativa che ritengo sia uno dei pochi utili sistemi di investimento per il futuro pensionistico”.

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