Difesa militare: quali i punti di forza e i limiti della nostra industria bellica

Difesa militare: quali i punti di forza e i limiti della nostra industria bellica

Con oltre 16 miliardi di fatturato nel 2019 e oltre 50mila addetti impiegati, l’industria bellica italiana è competitiva, ma ha ancora dei limiti.

La necessità sempre crescente di avere a disposizione un’industria della difesa all’avanguardia e competitiva è quanto mai stringente. Lo scoppio del conflitto russo-ucraino e ancora prima le tensioni a livello globale pongono il nostro Paese in una posizione di forza per quanto riguarda il ruolo sul mercato internazionale.

Il merito del primato italiano nel settore della difesa militare è sicuramento dovuto a gruppi come Leonardo e Fincantieri, ma anche a molte piccole e medie aziende che soddisfano, in termini di flessibilità e affidabilità, le richieste dei clienti.

Se da un lato il rispetto delle scadenze è fondamentale in qualsiasi settore, a maggior ragione in quello militare, dall’altro la qualità della ricerca e dei prodotti sono sinonimo di garanzia per i partner che si affidano all’Italia per la costruzione delle proprie armi belliche.

Di questo ne è sicuro l’ex parlamentare di “Fratelli d’Italia” e sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto che ha piena fiducia nella manifattura italiana.

Difesa militare: i punti di forza della nostra industria bellica

Tra i punti di forza della nostra industria bellica vi è l’unanime riconoscimento che l’Italia è un partner credibile e preciso.

Il Presidente dell’AIAD (Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) Guido Crosetto ha evidenziato come il settore della difesa militare contribuisca per buona parte all’economia italiana.

Secondo un’indagine condotta da Prometeia in collaborazione con l’AIAD, e ripresa dal Messaggero, nel 2019 la difesa militare ha sfiorato i 16 miliardi di fatturato, impiegando oltre 50 mila addetti diretti qualificati nelle aree del Nord Ovest (22mila) e del Mezzogiorno (14mila), generando 15 miliardi di euro di valore aggiunto nell’economia nazionale, con:

  • Il 23% di tutta l’industria ad alta intensità tecnologica, con punte del 40% nel Sud, e addirittura toccando il 60% in Campania e Puglia.

Ogni euro di valore aggiunto generato dall’industria ha un effetto moltiplicatore pari a 3 e quindi capite bene la portata dell’indotto prodotto. Questo indice, rapportato all’occupazione è pari a 4, con 20mila occupati nel comparto, tra diretti e indiretti. Sempre nel 2019, il gettito fiscale ha superato i 5 miliardi.

Ma non vi sono benefici solo economici e occupazionali, anche la ricerca in questo settore ha molto da dire con quasi il 10% di intensità di sviluppo manifatturiero rapportato alla media che è dell’1%, con un investimento di oltre 1,5 miliardi di euro che rappresenta il 10% circa della spesa nazionale.

I 17mila addetti impegnati nella R&S (Ricerca & Sviluppo) consentono alla filiera italiana di posizionarsi ai vertici mondiali per innovazione e brevettazione nel campo tecnologico diretto.

“Un punto di forza per l’intero sistema Italia - ha evidenziato Crosetto - perché sempre più spesso le innovazioni tecnologiche rilevanti anche per il mondo civile sono di derivazione militare”.

Dal momento che il reparto è anticiclico è riuscito ad ammortizzare bene i contraccolpi dovuti alla pandemia da Covid-19. Infatti, nel 2021, in piena emergenza, l’Italia si è posizionata al 6° posto per Paese esportatore di sistemi di difesa al mondo, con il 3,1% dell’export mondiale del settore, nonostante la normativa applicata sia tra le più rigide.

Difesa militare: i punti deboli della nostra industria bellica

Sicuramente un punto debole è la penuria dei finanziamenti per l’industria bellica. I dati riportati dal Messaggero evidenziano come il nostro Paese, nel 2019, abbia speso per la Difesa 21,1 miliardi di dollari contro i 44,4 della Francia, i 46,9 della Germania e i 53 del Regno Unito. In confronto ai pari taglia europei, l’Italia destina molte risorse in più per il personale.

Come abbiamo illustrato nel precedente articolo (qui), il Parlamento è intenzionato ad aumentare al 2% del PIL le spese per la difesa a partire dal 2024; decisioni che fanno il paio con quanto dichiarato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini sul voler rendere l’Esercito italiano più efficiente.

Tra gli altri punti critici, illustrati dal Messaggero, che penalizzano l’industria bellica italiana troviamo:

  • Un sistema Paese meno competitivo di quello dei pari taglia europei;
  • Esterofilia marcata nella classe dirigente;
  • Legge sull’export che limita lo sviluppo, dovendo passare necessariamente per il ministero degli Esteri;
  • Pochi giovani che vogliono entrare nel settore della difesa poiché lo considerano moralmente non appropriato;
  • Banche ostili che bloccano i pagamenti dall’estero sebbene vi siano tutte le autorizzazioni del caso.

Eppure, si potrebbe ottenere molto da questo settore, a maggior ragione ora che le partnership con i Paesi europei e non si stanno facendo più solide.

Difesa militare: le partnership italiane

Importante è anche la cooperazione con gli Stati europei, come il progetto dei sistemi Tempest che l’Italia porta avanti con Regno Unito e Svezia. E anche l’European Patrol Corvette per navi in grado di svolgere missioni tattiche e strategiche. In fase avanzata è il progetto Eurodrone al quale partecipa Leonardo e che avrà un motore italiano, il Catalyst turboelica prodotto da avio Aero, controllata da GE Aviation.

Ben rodato è il consorzio missilistico italo-franco-britannico Mbda, di cui Leonardo detiene il 25%, ed in grado di competere con gli USA. Lo scorso anno il consorzio ha superato i 4 miliardi di ricavi e la filiale italiana arriverà nel 2022 a 1 miliardo di ricavi.

Oltre agli accordi già in atto e in via di sviluppo, ci sono anche quelli con:

  • Israele: settore aeronautica, elettronica della difesa e cybersecurity;
  • Qatar: settore navale e terrestre, con la possibilità di realizzare piattaforme anfibie SuperAv 8X8 del consorzio Iveco Defence Vehicles - Oto Melara;
  • Brasile: settore blindati;
  • India: con la speranza che, archiviate le tensioni degli ultimi anni (vedi caso dei Marò), ci sia la possibilità di collaborare per produrre elicotteri e siluri.

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