Chi sono Valerio Morucci e Adriana Faranda e il loro coinvolgimento nel rapimento di Aldo Moro

Chi sono Valerio Morucci e Adriana Faranda e il loro coinvolgimento nel rapimento di Aldo Moro

La storia dei brigatisti della colonna romana delle Br che sequestrarono il presidente della Dc.

Il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro avvenuto il 16 marzo 1978 da parte delle Brigate Rosse rivive nella fiction di Rai Uno, in onda questa sera (la seconda puntata e giovedì 17 novembre, la terza ed ultima) alle 21:30, dal titolo: “Esterno notte”.

La fiction, diretta da Marco Bellocchio, racconta i 55 tragici giorni del sequestro Moro, attraverso diversi punti di vista: quello del protagonista stesso, degli amici della Dc, e delle Br che furono dapprima i rapitori e poi i carnefici di Moro.

Il 9 maggio 1978, le Br fecero ritrovare il corpo senza vita del presidente della Dc in via Caetani.

Nella miniserie in tre puntate “Esterno notte” i protagonisti sono “gli uomini e le donne che agirono fuori della prigione, coinvolti a vario titolo nel sequestro: la famiglia, i politici, i preti, il Papa, i professori, i maghi, le forze dell’ordine, i servizi segreti, i brigatisti in libertà e in galera, persino i mafiosi, gli infiltrati” ha raccontato il regista a Famiglia Cristiana.

E allora vediamoli alcuni di quei protagonisti: Valerio Morucci e Adriana Faranda, due personalità di spicco della colonna romana delle Brigate Rosse che ebbero un ruolo importante nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro.

Chi è Valerio Morucci

Classe 1949, Valerio Morucci è un ex brigatista responsabile, insieme al commando delle Brigate Rosse, del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

Conosciuto nell’ambiente dell’estremismo di sinistra con il nome di “Pecos” e nelle Br con il nome di battaglia di “Matteo”.

Dopo una lunga militanza in Potere Operaio, gruppo della sinistra extraparlamentare legato all’area del marxismo operaista, dove ricoprì anche il ruolo di responsabile del servizio d’ordine, è tra i primi a sostenere la necessità della lotta armata dando vita a piccole strutture clandestine, insieme ai militanti di altri gruppi dell’estrema sinistra romana.

Il suo ingresso nelle Brigate Rosse è nel settembre 1976, diventando ben presto dirigente della colonna romana. Nel Memoriale Morucci , scritto a quattro mani con l’allora compagna Adriana Faranda, l’ex brigatista ripercorre nomi e fatti riguardanti l’agguato di via Fani.

Abbandona le Br nel 1979 per contrasti con la linea politico-militare dell’organizzazione. Arrestato nello stesso anno, è condannato a tre ergastoli. Nel 1985, nel processo d’appello per il caso Moro, si dissocia ufficialmente dalla lotta armata. Scarcerato nel 1994, vive a Roma e lavora come consulente informatico.

Chi è Adriana Faranda

Nata in provincia di Messina nel 1950, Adriana Faranda entra nelle Br nel 1976. Arrestata insieme al compagno Morucci, negli anni ’80 si dissocia dal terrorismo e benefica delle riduzioni di pena. Esce dal carcere nel 1994.

Dopo il diploma in Sicilia, si iscrive alla facoltà di Lettere alla Sapienza di Roma, dove inizia a maturare la propria coscienza politica, entrando in Potere Operaio. Nel 1970 si sposa con Luigi Rosati (all’epoca dirigente di Potere Operaio) con cui avrà nell’anno seguente una bambina Alexandra, così chiamata in onore della rivoluzionaria marxista russa Aleksandra Michajlovna Kollontaj.

Nel 1973, assieme ad altri militanti, fra i quali Bruno Seghetti ed il suo nuovo compagno Valerio Morucci, è tra le fondatrici del gruppo LAPP (Lotta Armata Potere Proletario), braccio armato dell’organizzazione operaista; successivamente, entra con Morucci nelle Brigate Rosse, all’interno delle quali ricopre ruoli direttivi con il nome in codice di Alexandra, in riferimento alla figlia quanto alla celebre rivoluzionaria.

Dopo l’uscita dalle Br e prima dell’arresto, tenta di fondare una nuova formazione di lotta armata, il Movimento Comunista Rivoluzionario, insieme a Morucci.

Scrive un’autobiografia e nel 2004 il regista Alex Infascelli le fa interpretare un cameo nel film “Il siero della vanità”. Negli anni successivi si è impegnata in un percorso di giustizia riparativa.

Il coinvolgimento nel rapimento Moro

Morucci e Faranda hanno un ruolo di primaria importanza per quanto riguarda gli aspetti organizzativi del rapimento Moro. Dapprima, si pensava di rapire il presidente della Dc nella Chiesa di Santa Chiara, ma il coinvolgimento di altre persone li fece desistere. In seguito, optano per via Fani, stabilendo le vie di fuga, l’uso di strade secondarie e private per sfuggire alle volanti.

Travestito da aviere Alitalia, Morucci giunge in via Fani, fermandosi davanti al bar Olivetti in compagnia di Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Raffaele Fiore, in attesa del convoglio delle auto di Moro.

Quando le auto giungono e sono bloccate dall’improvvisa manovra di Mario Moretti, che frena di colpo con la sua 128 bianca targata CD e blocca la Fiat 130 di Aldo Moro, il commando entra in azione: Morucci estrae dalla sua valigetta la mitraglietta FNAB-43, si avvicina all’auto di Moro e spara a raffica in rapida successione contro l’autista dell’auto, l’appuntato Domenico Ricci e il caposcorta maresciallo Oreste Leonardi, che gli siede accanto, colpendolo mortalmente e senza ferire il Presidente della Democrazia Cristiana, nonostante il momentaneo inceppamento del suo mitra.

È Morucci a prelevare le due valigette di Moro e a nasconderlo in una cassa fino al trasbordo del sequestrato. È sempre lui a comunicare telefonicamente all’Ansa la prima rivendicazione del rapimento e l’eliminazione delle guardie del corpo, “teste di cuoio di Cossiga”.

Insieme a Faranda si incarica di distribuire i comunicati delle Brigate Rosse, riuscendo a sfuggire alle intercettazioni delle Forze dell’Ordine.
Mentre, Faranda, durante il rapimento dell’allora presidente della DC, agisce come "postina".

Sebbene sia Morucci che Faranda fossero contrari all’uccisione di Moro, prevalse la linea di Moretti, Morucci, insieme a Seghetti, scorta fino a via Caetani la Renault 4 rossa, guidata da Moretti, con il cadavere del presidente della Dc nel bagagliaio. E sempre Morucci comunica al professor Franco Tritto, amico e collega di Moro, dove si trova l’auto con il cadavere del presidente.

L’arresto

I due super ricercati vennero arrestati il 29 maggio 1979, ad un anno dalla strage di via Fani. I due brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda vengono trovati nel loro covo-appartamento di proprietà di Giuliana Conforto, al quarto piano di viale Giulio Cesare, 47 a Roma, grazie alla soffiata di una fonte, ancora oggi anonima.

La ricostruzione dell’intera vicenda è stata fatta il 27 aprile 2016 in Commissione Moro da Nicola Mainardi, maresciallo della Polizia in pensione, come riporta il Fatto Quotidiano in un pezzo dell’epoca. Mainardi, tramite Dario Bozzetti e Olindo Andreini che gestivano Autocia, un autosalone aperto nella prima metà degli anni ’70, venne a sapere dei movimenti di Morucci e Faranda. I due brigatisti avevano comprato lì due auto, una Citroen nel 1976 e una A112 nel 1977.

Loro andarono avanti, si incontrarono con i due con la scusa di fornirgli documenti falsi, attività che veniva realizzata nell’autosalone”, che sembra fosse una copertura per traffici illegali come, appunto, la realizzazione di false patenti, passaporti e carte d’identità.

In cambio della soffiata - ha detto ancora Mainardi - fornimmo due passaporti a Bozzetti e Andreini per un soggiorno all’estero di 20 giorni, come stabilito con il prefetto De Francesco”.

Sui retroscena dell’arresto permangono aspetti non del tutto chiari, e si è parlato anche di una informativa fornita alle Forze dell’Ordine dal padre della proprietaria dell’appartamento, Guido Conforto, che sarebbe stato un ex-agente dei servizi segreti sovietici.

Il processo

Dopo l’arresto, Morucci viene trasferito in carcere a Nuoro, restando sempre su posizioni non collaborazioniste e mostrando una rigida chiusura.

Nella primavera 1984 Valerio Morucci e Adriana Faranda iniziano i colloqui con i giudici Ferdinando Imposimato e Rosario Priore. I due brigatisti decisero di descrivere la loro attività, le loro responsabilità e molti dettagli di loro conoscenza, ma rifiutarono di fare i nomi di altri militanti coinvolti.

Poco dopo Morucci rilasciò una lunga intervista a Giorgio Bocca, in cui chiarì molti aspetti del caso Moro e infine il 18 gennaio del 1985, nel corso del processo d’appello per il sequestro, Morucci lesse un documento di formale dissociazione dalla lotta armata firmato anche da altri 170 detenuti, intitolato “Per riaprire un dialogo con la società. Manifesto dei detenuti politici”.

Il processo termina nel marzo 1985 e Morucci viene condannato all’ergastolo, in primo grado, ma la pena gli viene ridotta a trent’anni.

La vita dopo il carcere

Morucci è libero. Ha un figlio, risiede a Roma e si occupa di informatica. Nel corso della sua vita ha pubblicato molti libri riguardo la sua esperienza nella lotta armata e scrive per la rivista di geopolitica Theorema, che fa capo al centro studi della Fondazione Nuova Italia, presieduta dall’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno. Faranda è anch’ella libera e ha scritto una autobiografia.