Chi era l’appuntato dei Carabinieri Giovanni D’Alfonso, vittima delle Brigate Rosse

Chi era l'appuntato dei Carabinieri Giovanni D'Alfonso, vittima delle Brigate Rosse

Il carabiniere perse la vita in un conflitto a fuoco con i brigatisti che rapirono l’industriale Vallarino Gancia.

Le indagini sul conflitto a fuoco in cui perse la vita l’appuntato dei Carabinieri Giovanni D’Alfonso e la brigatista Margherita “Mara” Cagol potrebbero essere ad un punto di svolta grazie alle moderne tecnologie.

Gli accertamenti dei Ris di Parma sui reperti sequestrati all’epoca della sparatoria che portò alla liberazione dell’imprenditore sequestrato Vittorio Vallarino Gancia farebbero sperare in una conclusione di un cold case che si trascina da 47 anni.

Nel novembre 2021, Bruno D’Alfonso, il figlio della vittima, anch’egli entrato nell’Arma seguendo le orme del padre, aveva presentato un esposto in cui chiedeva di riaprire le indagini, sulla base di una ricerca negli archivi di Stato, nelle segreterie dei tribunali e tra gli atti della Commissione Moro.

È una questione di giustizia e di verità storica. Anche per onorare la figura di mio padre, un eroe che diede la vita per le istituzioni”, ha detto d’Alfonso dopo aver presentato l’esposto. Le indagini sono affidate ai carabinieri del ROS e coordinate dai magistrati del pool sul terrorismo della Procura di Torino e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.

Oggi proprio quell’impronta e un DNA repertato dai Ris potrebbe riaprire il caso.

Chi era l’appuntato Giovanni D’Alfonso

Classe 1930, Giovanni D’Alfonso era nato a Penne, in provincia di Pescara, il 7 febbraio, ed era un appuntato dei Carabinieri che è morto in seguito ad un scontro a fuoco con alcuni brigatisti che tenevano prigioniero l’industriale Vittorio Vallarino Gancia.

Il carabiniere muore pochi giorni dopo in ospedale, in seguito alle ferite riportate nello scontro, lasciando la moglie e tre figli.

Il 28 aprile 1976, è insignito della medaglia d’argento al Valor Militare “alla memoria” e medaglia d’oro come vittima del terrorismo. La Stazione dei Carabinieri di San Valentino in Abruzzo Citeriore è intitolata a suo nome.

Rapimento Vallarino Gancia

La mattina del 4 giugno 1975, un nucleo armato delle Brigate Rosse sequestrò l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario dell’omonima casa vinicola, al fine di ottenere un riscatto con cui finanziare la lotta armata.

Il sequestro durò pochissimo, si concluse il giorno successivo, quando una pattuglia dei Carabinieri individuò i rapitori incaricati della detenzione dell’ostaggio e fece irruzione nella cascina Spinotta d’Arzello, vicino Aqui Terme, dove era tenuto nascosto Gancia.

Nello scontro a fuoco i brigatisti usarono armi automatiche e bombe a mano che causarono la morte dell’appuntato dei Carabinieri Giovanni D’Alfonso e della terrorista Margherita Cagol, capo del nucleo delle Brigate Rosse della colonna torinese e moglie di Renato Curio, oltre al ferimento grave di altri due carabinieri, tra cui il tenente Umberto Rocca che nel conflitto perse un braccio e un occhio. Vallarino Gancia venne liberato incolume.

La morte di Margherita Cagol segnò fortemente le Brigate Rosse e favorì un’accentuazione della radicalità e della violenza dell’azione del gruppo armato.

Le indagini dei Ris di Parma

A distanza di 25 anni, un’impronta e un DNA ritrovati sui reparti sequestrati nella cascina Spiotta, ad Arzello, potrebbero rivelarsi la chiave di volta di uno dei cold case italiani.

Si tratta del rapimento dell’imprenditore vinicolo Vallarino Gancia avvenuto nel giugno del 1975, durante gli anni di piombo.

In seguito alla riapertura delle indagini, i carabinieri del Ris di Parma hanno passato al setaccio tutto quello che era stato rinvenuto alla cascina Spiotta e che era rimasto sotto sequestro nei depositi in cui restano custoditi i corpi di reato. Le indagini si sono concentrate anche nel covo di via Maderno a Milano, quello in cui si erano nascosti Curcio e la sua nuova compagna Nadia Mantovani.

Proprio lì, quando finì la loro latitanza il 18 gennaio 1976, fu trovata una relazione sui fatti della Spiotta redatta dal brigatista che era scappato, Massimo Maraschi, l’unico ad essere arrestato e poi condannato per l’omicidio dell’appuntato e per il sequestro Gancia.

Il documento conteneva anche informazioni sui rapitori, ma in forma criptata e mai decifrata. In particolare, gli accertamenti hanno riguardato una macchina da scrivere, quella che, come ha spiegato l’avvocato Sergio Favretto che assiste Bruno D’Alfonso, “fu probabilmente utilizzata per redigere la relazione di molte pagine che il brigatista fuggito dalla Spiotta avrebbe consegnato ai vertici delle BR” oltre che al contenuto e alla stesura della memoria, rinvenuta nel covo.

Grazie alle moderne tecnologie, i Ris sono riusciti ad estrarre un profilo genetico e un’impronta digitale che all’epoca epoca erano sfuggiti proprio per la mancanza di strumentazioni adeguate.

I nuovi indizi dovranno essere comparati con i profili archiviati nei database delle Forze dell’Ordine per arrivare ad identificare a chi appartengono.

Interrogati gli ex brigatisti

Non solo le tracce biologiche aprirebbero una strada, ma il pm Ciro Santoriello e l’aggiunto Emilio Gatti hanno interrogato alcuni ex brigatisti, tra cui proprio Maraschi.

Il 4 giugno 1975, giorni del rapimento, lui aveva 22 anni ed era rimasto coinvolto in un incidente stradale proprio nei pressi della villa Camillina a Canelli in cui viveva Gancia. Il suo atteggiamento frettoloso aveva insospettito le persone con cui si era scontrato in auto che avevano chiamato i carabinieri. Lo avevano rintracciato: aveva una Beretta 765 con il colpo in canna. Lo portarono in caserma dove si era dichiarato prigioniero politico.

La procura, dopo il nostro esposto sta svolgendo le indagini a tutto tondo, con grande impegno e con un team dedicato” ha commentato l’avvocato Favretto, che ha aggiunto: “Si attendono gli esiti, non facili data la distanza temporale dei fatti”.

Nel libro di Simona Folegnani e Berardo Lupacchini, “Brigate Rosse. L’invisibile”, uscito nel 2021, viene ricostruito nel dettaglio lo scontro avvenuto il 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta fra i brigatisti e i carabinieri.