Luna Luciano - 8 giugno 2021
Brusca libero: la storia degli accordi Stato-Mafia
Giovanni Brusca si è presentato per la prima volta da uomo libero al processo d’appello sulla trattativa tra lo Stato e la Mafia: la storia degli accordi e la strategia stragista di Totò Riina.
L’ex boss mafioso Giovanni Brusca, ex braccio destro di Totò Riina e ora collaboratore di giustizia, si è collegato per la prima volta da uomo libero al processo d’appello sulla trattativa Stato-Mafia, dopo la scarcerazione per fine pena avvenuta il 31 maggio.
Davanti alla Corte di assise l’accusa doveva terminare la requisitoria e formulare una richiesta di pena per gli imputati.
Il lungo processo sulla trattativa Stato-Mafia è giunto alla prima sentenza solamente nel maggio del 2018 con le condanne:
- del boss mafioso Leoluca Bagarella a 28 anni di carcere;
- a 12 anni l’ex senatore Marcello Dell’Utri, gli ex carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex medico fedele di Totò Riina, Antonino Cinà;
- a 8 anni l’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno,
- Massimo Ciancimino, figlio del politico mafioso Vito Ciancimino, era stato condannato a 8 anni per calunnia ma poi in secondo grado il suo reato è caduto in prescrizione.
Le indagini portate avanti dal 1998 hanno permesso alla Corte di ricostruire i rapporti intrattenuti tra lo Stato e la Mafia a partire dal 1992 dopo l’assassinio del politico Salvo Lima.
L’inizio delle trattative
Nel ’92 si concluse il maxiprocesso, iniziato nel ’86, avviato dai due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con la condanna di 460 mafiosi.
A seguito dell’incarcerazione dei boss appartenenti alla cupola palermitana Totò Riina divenne di fatto Capo di Cosa Nostra.
Il Capo dei Capi adottò da quel momento una vera guerra aperta contro lo Stato, a partire dall’uccisione del democristiano Salvo Lima, appartenente alla corrente andreottiana, che fino a quel momento, secondo gli inquirenti, assunse impegni per conto di Andreotti con la Mafia.
Lima aveva garantito la conclusione del maxiprocesso con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove. A seguito della mancata promessa Lima fu il primo della lista a essere ucciso.
La guerra continuò con le stragi di Capaci e di via d’Amelio, dove persero la vita Falcone, la moglie, Borsellino e le loro scorte. Da questo momento, secondo i magistrati, Totò Riina incaricò Vito Ciancimino d’intessere rapporti con lo Stato per poter beneficiare di una legislazione a favore dei mafiosi.
Lo Stato trattò con i Corleonesi tramite i comandanti del Ros dei Carabinieri: Mori, De Donno e Subranni.
Secondo le motivazioni della sentenza questa mossa costò allo Stato italiano le tre stragi del 1993 di Firenze, Roma e Milano.
Ciò che risulta dalle carte è che la strategia stragista di Riina aveva l’intento di piegare lo Stato, a colpi di bombe, affinché questi cedesse accogliendo le richieste dei Corleonesi, raggiungendo alcuni obiettivi.
Come si concluse la trattativa Stato-Mafia
Il 23 gennaio del 1994 un’auto carica di tritolo sta per esplodere sotto lo stadio olimpico di Roma per mano di Cosa Nostra: ennesimo colpo che si inserisce nella strategia stragista adottata da Totò Riina l’anno precedente.
Il tentativo di ammazzare 100 carabinieri in servizio durante la partita allo stadio andò a vuoto e non ci fu un secondo tentativo.
Pochi giorni dopo, il 26 gennaio, Silvio Berlusconi scendeva in politica; nelle stesse ore cessava la guerra mafiosa contro lo Stato.
Di fatto i clan mafiosi siciliani trovarono nel partito di Berlusconi e Dell’Utri un nuovo referente politico che potesse garantire per loro; a sostegno della tesi dei magistrati ci sono le dichiarazioni del boss Gaspare Spatuzza. Durante il processo sulla trattativa Spatuzza raccontò di un suo incontro in un Hotel di Roma con Giuseppe Graviano e Marcello Dell’Utri.
Inoltre si evince dalla sentenza sulla trattativa Stato-Mafia e dalla sentenza per concorso esterno in associazione mafiosa, ai danni di Marcello Dell’Utri (ex braccio destro di Berlusconi e fondatore di Forza Italia) che Berlusconi pagò la mafia dal 1974 fino al 1994, quando era ancora in carica come Presidente del Consiglio.
Tutt’ora rimangono alcuni quesiti irrisolti come chi fu il mandante politico che diede ordine ai carabinieri del Ros di trattare con Vito Ciancimino. Ciò che è sicuro è che senza la legge sui collaboratori di giustizia, a oggi, la verità sui rapporti Stato-Mafia sarebbe stata sepolta.
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