Reddito di cittadinanza solo a chi non può lavorare: la stretta del Governo

Reddito di cittadinanza solo a chi non può lavorare: la stretta del Governo

La stretta del Governo verso i percettori del Reddito di cittadinanza in grado di lavorare è iniziata. Tremano in oltre 600mila. Vediamo le novità.

È stato uno dei cavalli di battaglia della coalizione di centro destra in campagna elettorale. Stiamo parlando della lotta al Reddito di cittadinanza. La stessa Giorgia Meloni nel discorso di esordio in Parlamento, aveva ribadito l’intenzione dell’esecutivo di andare a mettere mano alla misura così come era stata pensata nel 2019: "ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia. Vogliamo mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare, ma per gli altri la soluzione non può essere il Reddito di cittadinanza, ma il lavoro" - le sue parole.

Oggi il Reddito di cittadinanza non rappresenta una delle priorità del nuovo Governo che si sta concentrando soprattutto sul caro bollette. Ma secondo molti, già a partire dal 2023 potrebbe avvenire la modifica arrivando a due strumenti diversi: uno di natura assistenziale riservato a chi non è in grado di lavorare, e un’altro orientato all’inserimento lavorativo.

In questo modo una folto numero di beneficiari rischia di restare senza il sussidio. Vediamo quali sono le intenzioni del Governo sul Reddito di cittadinanza.

Reddito di cittadinanza solo a chi non può lavorare

Il concetto dell’esecutivo è chiaro: la misura va confermata e se possibile anche aumentata per chi non è più in grado di lavorare e si trova in difficoltà. Ma per tutti gli altri che sono idonei al lavoro niente più assistenzialismo, ma iniziative volte a reinserirli nel mondo lavorativo.

Dunque sostegno confermato e rinforzato per anziani, disabili, persone espulse dal mondo del lavoro senza possibilità di accedervi. Per gli altri, piani di formazione durante i quali sarà previsto anche un sussidio.

In questo modo il risparmio per lo Stato sarebbe considerevole, appurato che poco più della metà dei percettori attuali del Reddito di cittadinanza sono persone in grado di lavorare.

Secondo i dati dell’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro i beneficiari del Reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro sono 919.916. Da questa cifra vanno tolti 173mila che sono già occupati e gli 86mila che sono stati esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali. Quindi restano 660mila beneficiari soggetti al patto per il lavoro. Proprio loro rischiano di restare senza il sussidio.

In questo modo lo Stato, che spende circa 9 miliardi all’anno per il Rdc, dimezzerebbe la voce di spesa dedicata alla misura e potrebbe reinvestire la somma su altre voci.

Ovviamente il problema occupazione andrebbe risolto. Innanzitutto potenziando i centri per l’impiego che in questi 3 anni sono stati il vero anello debole. Dovevano essere loro a svolgere il lavoro più importante, quello di mettere in connessione domanda e offerta e per questo erano stati assunti anche migliaia di navigatori con il compito di assistere il personale già impegnato nei vari centri territoriali. Ma nella maggior parte dei casi la famosa chiamata con l’offerta di lavoro per i percettori del reddito non è mai arrivata.

Oltre a rendere più efficienti i centri per l’impiego, una cospicua parte dei percettori in grado di lavorare, presentano gravi carenze formative e non hanno competenze specifiche. Il 73% dei 660mila non ha avuto esperienze lavorative negli ultimi tre anni. E comunque, per chi l’ha avuta, nel 36,3% dei casi è durata meno di tre mesi. È basso anche il livello di istruzione: il 70,8% ha solamente la licenza di terza media.

Per questo si punta su un piano di formazione dei disoccupati magari anche utilizzando le risorse del Fondo sociale europeo.

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