Chi era Pio La Torre e qual è stato il suo impegno contro la mafia

Chi era Pio La Torre e qual è stato il suo impegno contro la mafia

Nel docufilm di Walter Veltroni “Ora tocca a noi” rivive la storia del politico e sindacalista Pio La Torre.

Pio La Torre rivive nel docufilm in onda su Rai 3, alle 21.25, “Ora tocca a noi” diretto da Walter Veltroni. Il segretario del Partito Comunista ucciso da Cosa Nostra il 30 aprile del 1982 è al centro del lavoro scritto e diretto dall’ex sindaco di Roma.

L’anteprima è stata proiettata a cinema Rouge et Noir di Palermo, alla presenza degli studenti delle scuole e delle carceri che devono conoscere il coraggio e la storia di un grande uomo delle Istituzioni che non si è piagato alla criminalità.

All’evento erano presenti oltre al regista e ai ragazzi, il Procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio De Lucia, il presidente emerito del Centro studi “Pio La Torre”, Vito Lo Monaco e il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.

Il titolo del docufilm “Ora tocca a noi” è una citazione di una frase che La Torre disse all’amico Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci, pochi giorni prima di essere assassinato insieme a Rosario Di Salvo.

Conosciamo meglio chi era Pio La Torre, qual è stato il suo impegno politico e perché Cosa Nostra lo ha ucciso.

Chi era Pio La Torre

Pio La Torre nasce a Palermo il 24 dicembre 1927 e muore nella sua città per mano di Cosa Nostra il 30 aprile 1982. Nel corso della sua carriera di sindacalista nella Cgil e politico, La Torre si è battuto strenuamente contro la mafia siciliana, tant’è che i capi Totò Riina e Bernardo Provenzano lo condannarono a morte.

Figlio di braccianti della periferia di Palermo, La Torre decide di ribellarsi ad un destino già scritto. Nel 1945 si iscrive al Partito Comunista. In quegli anni, la forte richiesta di una riforma agraria nel Meridione sfocia in un’ondata di proteste popolari.

La Torre partecipa prima in qualità di funzionario dell’organizzazione sindacale contadina Federterra, poi come responsabile giovanile della Cgil (Confederazione Generale italiana del lavoro) e della commissione giovanile regionale del PCI. Nel 1949 diviene membro del consiglio federale del partito: con lo slogan “La terra a tutti”.

Negli scontri tra polizia e braccianti, La Torre viene arrestato e condotto in carcere dove resta per un anno e mezzo, con l’accusa di aggressione a pubblico ufficiale, trascorre la detenzione in solitudine, come previsto per i reati a carattere “politico”.

Il suo processo si protrae per dieci udienze, fino alla scarcerazione. Il 23 agosto 1951 Pio La Torre è un uomo libero, e decide di tornare all’azione.
Nel 1960 è nel Comitato centrale del PCI e due anni dopo è segretario regionale in Sicilia.

Durante l’esperienza di partito, La Torre incontra Giuseppina Zacco che diventerà sua moglie e dalla quale avrà due figli: Filippo e Franco.

Il suo impegno politico

Sulla base della legge presentata da La Torre venne promulgata quella che introdusse nel Codice penale l’articolo 416-bis che prevedeva per la prima volta il reato di “associazione di tipo mafioso” e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.

Tra le sue battaglie più celebri vi è quella contro la costruzione della base missilistica Nato a Comiso che, secondo La Torre, rappresentava una minaccia per la pace nel Mediterraneo e per la stessa Sicilia.

In quegli anni prende corpo l’"ipotesi Gladio", organizzazione paramilitare promossa dall’americana CIA per scongiurare una potenziale invasione dell’Unione Sovietica nell’Europa occidentale, ancora ostaggio della Guerra fredda.

I riflettori puntati su La Torre si spegneranno pochi giorni prima del suo assassinio, lasciandolo solo di fronte al proprio destino.

Nel 1972 diventa deputato, entrato in Parlamento si occupa subito di agricoltura. Nel 1976 è membro della Commissione Parlamentare Antimafia e fu tra i redattori della relazione di minoranza della Commissione antimafia, che accusava duramente Giovanni Gioia, Vito Ciancimino, Salvo Lima e altri uomini politici di avere rapporti con cosa nostra.

Nel 1980 presentò alla Camera dei deputati un disegno di legge che introduceva il reato di associazione di tipo mafioso e il sequestro dei patrimoni mafiosi: infatti, intervistato dal giornalista della Rai Giuseppe Marrazzo, affermò: “Noi proponiamo di concentrare l’attenzione sull’illecito arricchimento. Perché la mafia ha come fine, appunto, l’illecito arricchimento. Allora è lì che dobbiamo mettere i riflettori”.

Perché Cosa Nostra lo ha ucciso

L’impegno politico di La Torre contro la mafia fece storcere il naso ai vertici di Cosa Nostra che commissionano ai propri galoppini l’assassinio. Totò Riina e Bernardo Provenzano lo condannarono a morte e il 30 aprile 1982 ci fu l’agguato.

Pio La Torre si trovava a bordo di una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo e stavano raggiungendo la sede del partito a Palermo, dove lui aveva chiesto di tornare. Arrivati in piazza Generale Turba, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo ad uno stop, al quale seguì una raffica di proiettili. Da un’auto scesero altri killer che completarono l’esecuzione. La Torre morì sul colpo, mentre Di Salvo ebbe il tempo di estrarre la pistola e sparare alcuni colpi.

Dopo il delitto, arrivarono rivendicazioni telefoniche dell’agguato da parte delle Brigate Rosse e di Prima Linea, ma non vennero considerate attendibili.

I funerali si svolsero in Piazza Politeama e vi presero parte centomila persone; erano inoltre presenti numerose autorità: il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, il Segretario nazionale del PCI Enrico Berlinguer, il quale fece un toccante discorso, e Carlo Alberto dalla Chiesa, appena insediatosi come Prefetto di Palermo con sei giorni di anticipo (verrà assassinato anche lui appena cento giorni dopo).

Il processo

Dopo una serie di indagini da parte degli inquirenti, nel giugno 1991 il giudice Natoli rinviò a giudizio per il delitto La Torre i membri della "Cupola" di Cosa Nostra (Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Rosario Riccobono, Giuseppe Greco "Scarpuzzedda", Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Antonino Geraci) sulla base del cosiddetto "teorema Buscetta" (secondo cui gli omicidi di un certo rilievo non potevano avvenire senza l’assenso del vertice mafioso).

Il processo di primo grado per i "delitti politici" Mattarella-Reina-La Torre si aprì il 12 aprile 1992 nell’Aula bunker del carcere dell’Ucciardone e si concluse nel 1995 con la condanna all’ergastolo dei membri della "Cupola" di Cosa Nostra come mandanti dell’omicidio La Torre.

La vedova di La Torre, Giuseppina Zacco, rifiutò la costituzione di parte civile nel processo in segno di protesta nei confronti di un’inchiesta che definì “povera, meschina e riduttiva”.

Gli esecutori materiali del delitto

Nel 1996 Salvatore Cucuzza, reggente del mandamento di Porta Nuova arrestato dopo un periodo di latitanza, decise di collaborare con la giustizia e si autoaccusò di aver partecipato all’omicidio La Torre.

Il pentito disse che Giuseppe Greco, alias “Scarpuzzedda”, anch’egli parte del commando omicida, gli confidò che “uomini politici avevano indicato a Cosa nostra che l’eliminazione di La Torre avrebbe impedito il rigore della legge sul sequestro dei beni ”.

Per questi motivi, anche basandosi su precedenti dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia e Pino Marchese che avevano indicato i nomi degli esecutori materiali, nel maggio 2001, Cucuzza venne condannato a otto anni di carcere con il rito abbreviato, riconoscendogli lo sconto di pena previsto per i collaboratori di giustizia, mentre nel marzo 2003 il gup di Palermo Marcello Viola rinviò a giudizio i boss mafiosi Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese, accusati da Cucuzza di aver partecipato con lui al delitto, mentre Greco "Scarpuzzedda" venne dichiarato non processabile in quanto morto da parecchi anni.

Nel giugno 2004 la Corte d’assise di Palermo, presieduta da Renato Grillo, condannò all’ergastolo Madonia e Lucchese come esecutori materiali del delitto La Torre.

Il docufilm “Ora tocca a noi”

Il docufilm va in onda questa sera, alle 21.25, su Rai Tre. Vi hanno preso parte nel ruolo di Giuseppina Zacco, moglie di Pio La Torre, anche l’attrice palermitana Silvia Francese, nipote del giornalista Mario Francese, assassinato a Palermo da Leoluca Bagarella la sera del 26 gennaio del 1979.

Chi gliela ha fatto fare allora a Pio La Torre di combattere la mafia?” domandano i ragazzi nel corso della proiezione per le tredici scuole di Palermo. “Il fatto che siamo qui davanti a una platea con centinaia di ragazzi a parlare di lui. Ecco chi gliel’ha fatto fare”, risponde Veltroni.

Nel docufilm materiale d’archivio, interviste originali, ricostruzioni, testimonianze di chi ha conosciuto La Torre si alternano alle immagini che ripercorrono gli anni dell’infanzia e quelli dell’impegno nel Pci e in Parlamento, come nel vibrante discorso dopo l’omicidio di Piersanti Mattarella.

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