La settimana corta arriva tra le Forze Armate? La soluzione in realtà già ci sarebbe

La settimana corta arriva tra le Forze Armate? La soluzione in realtà già ci sarebbe

Sempre più sindacati militari spingono in direzione dell’introduzione della settimana corta. Il governo dice no, ma una soluzione alternativa sembrerebbe esserci.

Dal debutto delle Associazioni Professionali a Carattere Sindacale tra Militari non sono mancate le proposte per riformare l’orario di lavoro nelle Forze Armate, alcune delle quali le potremmo definire perlomeno ambiziose.

Forti del dibattito che sta prendendo piede riguardo alla possibilità di introdurre la settimana di lavoro breve anche in Italia, con impiego per 4 giorni su 7 a parità di stipendio, i sindacati militari non hanno perso tempo nel mettersi nella scia di una tale proposta chiedendo che possa essere presa in considerazione anche nell’Esercito Italiano.

Da persona interessata, ma esterna, al mondo militare, mi sono chiesto: sarebbe davvero applicabile una tale forma di lavoro all’interno dell’Esercito Italiano? I sindacati sembrano essere divisi a riguardo, in quanto se da una parte c’è chi ritiene sia arrivato il momento di sdoganare la rigidità dell’orario di lavoro, dall’altra ce ne sono altri che si oppongono a una tale possibilità.

Anche perché una soluzione alternativa orientata a una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro, sembrerebbe già esserci.

Perché la settimana corta non è una strada da seguire

In queste ore l’Associazione sindacale professionisti militari (ASPMI) ha inviato una lettera al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito proprio per portare all’attenzione la questione relativa alla rimodulazione dell’articolazione dell’orario di lavoro.

Una proposta emersa in numerose assemblee organizzate da ASPMI su tutto il territorio nazionale, dove da parte dei soldati sono state sollevate problematiche riguardanti il benessere del personale e la tutela della famiglia.

D’altronde, molti militari affrontano il pendolarismo per raggiungere le proprie famiglie, che spesso risiedono nei luoghi d’origine per motivi lavorativi del coniuge, proprietà immobiliari o difficoltà economiche che impediscono lo spostamento del nucleo familiare.

Una possibile soluzione sarebbe l’articolazione dell’orario di lavoro su 4 giornate anziché su 5. Tuttavia, ASPMI ritiene che questa modifica possa avere conseguenze negative.

Ad esempio, cambiare il quadro normativo vigente potrebbe influire negativamente sia sul trattamento economico che su quello giuridico del personale. Il concetto di "giorni di servizio effettivamente prestato" è fondamentale per calcolare vari benefici economici, e ridurre i giorni lavorativi settimanali porterebbe anche a una riduzione dei giorni di licenza ordinaria. Inoltre, il Fondo di Efficienza dei Servizi Istituzionali (FESI), calcolato sui giorni di servizio effettivamente prestato, ne risulterebbe compromesso.

Ecco la soluzione alternativa alla settimana corta

Mentre la "settimana corta" è un concetto attraente e potrebbe essere vista come un buon compromesso per tutelare la famiglia, la soluzione non risiede in una modifica legislativa, ma nell’utilizzo del quadro normativo esistente. ASPMI d’altronde ricorda come l’ultimo rinnovo contrattuale abbia chiarito l’aspetto della flessibilità oraria, che lo Stato Maggiore Esercito ha già applicato nella nuova direttiva sull’istituto dello straordinario e i compensi connessi all’orario di lavoro che permette una certa flessibilità nell’inizio (07:00-09:00) e nel termine (15:30-17:30) delle prestazioni lavorative giornaliere, mantenendo invariata la durata complessiva dell’orario di lavoro settimanale.

La direttiva già prevede la possibilità di una "settimana corta" senza necessità di modifiche contrattuali. Si può quindi procedere in questa direzione senza necessità di stravolgimenti.

Anziché sprecare risorse bisogna concentrarsi su quanto già a disposizione

Ecco perché piuttosto che intraprendere battaglie che rischiano di non portare ad alcun risultato, d’altronde il Governo Meloni si è più volte mostrato scettico riguardo a una modifica delle norme sull’orario di lavoro, bisognerebbe puntare sugli strumenti già a disposizione.

Lo stesso ministro della Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, in una recente intervista rilasciata al Messaggero ha dichiarato:

In un Paese che sconta da decenni un ritardo importante in termini di produttività, è d’obbligo porsi la domanda: possiamo permettercelo? Questo significa che dobbiamo lavorare con intensità per recuperare efficienza, come alcune realtà organizzative eccellenti hanno fatto. Solo allora potremo pensare a soluzioni innovative.

Per questo motivo ASPMI ha scritto al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Generale Carmine Masiello, chiedendo una sensibilizzazione fino a livello di Comandante di Reparto, affinché venga concesso un utilizzo maggiore dello strumento vigente al fine di alleviare le problematiche familiari e personali dei militari. Ovviamente nei soli casi in cui le situazioni lo consentano.