Pensioni militari, un esercito di “nuovi poveri”: cosa sta succedendo

Pensioni militari, un esercito di “nuovi poveri”: cosa sta succedendo

Il Co.Ce.R. Interforze chiede che venga istituita una previdenza dedicata e specifica per le Forze armate e di Polizia e che vengano rivisti i coefficienti di trasformazione.

Il Co.Ce.R. Interforze ha chiesto al governo Meloni di avviare al più presto una concertazione sulla previdenza. Il rischio è che si venga a creare un esercito di “nuovi poveri” dal momento che con il sistema contributivo, i graduati rischiano di “non percepire neanche 1.000 euro al mese ”.

Sono parole nette quelle evidenziate nel comunicato diramato dal Co.Ce.R. Interforze, che rappresenta 300.000 appartenenti all’Esercito, alla Marina, all’Aeronautica, all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza, che pone al centro del dibattito una questione che riguarda molto da vicino i militari che si avviano alla quiescenza.

La cosa migliore da fare, secondo l’organo militare, è riconoscere la specificità delle Forze armate e di Polizia attraverso una previdenza dedicata, proprio quella specificità che il governo Meloni pare aver dimenticato nella legge di Bilancio 2023 (qui tutti i problemi).

Capiamo meglio cosa sta succedendo e perché i militari in pensione potrebbero diventare i nuovi poveri.

Pensioni militari: i limiti del sistema pensionistico

Nella nota del Co.Ce.R. Interforze viene posto il focus sulla questione della previdenza. I militari che andranno in pensione con il sistema “misto” o contributivo si troveranno in serie difficoltà.

Ricordiamo che il sistema contributivo è basato, in parte o integralmente, su una pensione che è la risultante del prodotto tra il montante contributivo maturato negli anni e un coefficiente di trasformazione in misura crescente in ragione dell’età nella quale si cessa il servizio attivo, secondo quanto stabilito dalla normativa.

Ebbene, la mancata attivazione della previdenza complementare ha fatto sì che i militari si ritrovino a percepire una pensione inferiore rispetto a chi proviene dal regime retributivo, e che siano “ impossibilitati a condurre un’esistenza dignitosa ”.

Pensioni militari: la situazione attuale

Nel corso del tavolo concertativo per il rinnovo contrattuale 2019-2021, il tema della previdenza ha assunto un ruolo centrale, tanto che le sigle sindacali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare e i Consigli Centrali di Rappresentanza hanno chiesto all’allora governo Draghi un segnale di attenzione in questo senso.

A questo proposito è stato istituito un fondo di 20 milioni di euro per il 2022, 40 milioni di euro per il 2023 e di 60 milioni di euro a decorrere dal 2024, al fine di adottare “provvedimenti normativi volti alla progressiva perequazione del regime previdenziale del personale delle Forze armate, delle Forze di Polizia e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ” (art. 1, comma 95, 96 e 97 della legge 30 novembre 2021, n.234).

Nella legge si fa riferimento a:

  • Misure compensative rispetto agli effetti derivanti dalla liquidazione dei trattamenti pensionistici per il personale in servizio il girono precedente la data di entrata in vigore del relativo provvedimento normativo;
  • Interventi integrativi delle forme pensionistiche complementari per il personale immesso nei ruoli a decorrere dalla data di entrata in vigore del relativo provvedimento normativo (a questi ultimi deve essere riservato almeno il 50% delle risorse).

Pensioni militari: cosa fare

Su cosa fare delle pensioni militari, il comunicato è chiaro: la previdenza complementare è oggettivamente di difficile realizzazione.

Occorrerebbe invece “ancorarsi al concetto di specificità e proseguire lungo il sentiero che conduce alla creazione di un sistema previdenziale “dedicato”, agendo sui coefficienti di trasformazione ”.

Una Forza armate al passo con le sfide del futuro passa anche per l’abbassamento dei limiti di età, al fine di disporre di un comparto in piena efficienza, pronto e reattivo di fronte alle emergenze; “ il mantenimento in servizio dei sessantenni impedisce di arruolare i diciottenni ”.

Dal momento che l’impiego del personale militare è specifico e logorante, “ha certamente una logica prescrivere una cessazione dal servizio nel giorno del sessantesimo compleanno, tenendo presente che questo giunge mediamente allo scoccare di 35/40 anni di servizio”.

Un sistema pensionistico che si basa su coefficienti di trasformazione crescenti e senza distinguere tra comparti del pubblico impiego penalizza chi ha un limite di età di 60 anni che, trovandosi nella situazione di aver raggiunto il massimo del servizio debba “accontentarsi di un coefficiente più basso rispetto al dipendente pubblico di altri comparti che raggiunge anch’egli il massimo del servizio, ancorché collocato al compimento del 67esimo anno di età. Si viene a creare, in sostanza, quella che sembra essere una disparità di trattamento ”.

Pensioni militari: l’auspicio

Secondo il Co.Ce.r. Interforze, la soluzione è creare una previdenza ad hoc , tramite la riorganizzazione dei coefficienti di trasformazione, garantendo ai militari che raggiungono il limite di età il medesimo “moltiplicatore” previsto per i dipendenti pubblici che vanno in pensione a 67 anni. A fronte di questo, la spesa sarebbe onerosa e le risorse potrebbero essere prese, almeno in parte, dal fondo istituito dalla legge di Bilancio 2022.

L’auspicio è che sulla base della legge che riconosce la specificità alle Forze armate e di Polizia (art.19 della legge 4 novembre 2010, n.183) venga realizzata “una previdenza dedicata al comparto sicurezza e difesa ”, in modo da consentire ai militari più giovani di godere di un “trattamento pensionistico adeguato e rispettoso dell’impegno posto nel servizio a beneficio della collettività”.