Pensione militari: ecco quando si perdono le maggiorazioni

Pensione militari: ecco quando si perdono le maggiorazioni

Analizzando il caso di specie possiamo renderci conto quando un militare perde la maggiorazione contributiva ai fini pensionistici.

La Corte costituzionale, con sentenza n.39 del 1° marzo 2018, ha stabilito che i militari che cessano dal servizio senza aver acquisito il diritto a pensione perdono la possibilità di valorizzare le maggiorazioni contributive per le determinate attività lavorative svolte.

Inoltre, i giudici hanno anche rispedito al mittente, ovvero alla Corte dei conti della Regione Lombardia, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Sezione regionale lombarda, stabilendo che non si è venuti meno a quando indicato dall’art. 3 della Costituzione e al principio di “eguaglianza dei cittadini”.

Analizziamo il caso di specie e capiamo meglio quando si perdono le maggiorazioni.

Pensione militari e maggiorazioni: il caso di specie

Stando a quando afferma Pensionioggi.it, il caso di specie di cui si è occupata la Consulta riguarda due dipendenti dell’Aeronautica militare in pensione, che erano cessati dal servizio militare senza però aver raggiunto il diritto a pensione e che quindi avevano costituito la posizione assicurativa presso l’Inps (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), come previsto dall’art. 124 del DPR 1092/1973 (testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) nella versione vigente e prima dell’abrogazione operata dalla legge 122/2010.

I due militari chiedevano, anche in esito al predetto trasferimento gratuito, di poter beneficiare della maggiorazione di un terzo prevista dall’art. 20 del D.P.R. n. 1092 del 1973 per il periodo di servizio di volo prestato alle dipendenze dell’Aeronautica militare.

Pensione militari: la questione di legittimità costituzionale

La vicenda è divenuta un caso, assumendo un rilievo Costituzionale. In precedenza, le Sezioni riunite della Corte dei conti, tramite le sentenze n.8 del 27 maggio 2011 e n.11 del 21 giugno 2011, avevano negato il beneficio a tutti i militari che erano cessati dal servizio senza aver maturato il diritto alla pensione.

Un giudizio sicuramente sfavorevole per i due ex dipendenti dell’Aeronautica, perciò la Corte dei conti della Regione Lombardia si era appellata alla legittimità costituzionale, facendo leva sul fatto che la negazione del beneficio ai militari cessati dal servizio di poter usufruire delle maggiorazioni del servizio di volo andava a violare l’art. 3 della nostra Costituzione, determinando “un’ingiustificata penalizzazione retroattiva”.

Nelle motivazioni la Corte dei conti Lombardia indicava come il servizio di volo, valutato nella posizione assicurativa costituita presso l’Inps, sia “oggettivamente identico”, a prescindere dal fatto che il militare maturi o no il diritto a pensione al momento della cessazione dal servizio.

Motivazioni ribaltate dalla Corte costituzionale che ha bocciato la questione di legittimità costituzionale.

Quando si perdono le maggiorazioni: la sentenza della Corte costituzionale

Con sentenza n. 39 del 1° marzo 2018, i giudici della Consulta non solo hanno respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti Lombardia, negando ai due militari di godere della maggiorazione del servizio di volo cessati dal servizio senza aver raggiunto il diritto a pensione; ma ha stabilito anche che “la scelta di limitare la concessione del beneficio ai militari e ai dipendenti civili che cessino dal servizio dopo avere acquistato il diritto alla pensione non contrasta con il principio di eguaglianza

”.

Secondo la Consulta, come riposta Pensionioggi.it, “l’aumento convenzionale dell’anzianità di servizio si configura come un trattamento di favore, preordinato a garantire una particolare tutela per la gravosità e i rischi del servizio prestato”.

Ma i limiti di tale scelta sono rimessi all’apprezzamento discrezionale del legislatore, “che ne delimita i rigorosi presupposti oggettivi e soggettivi, in armonia con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza”.

Il giudice a quo, ossia l’autorità giudiziaria che introduce un giudizio di legittimità costituzionale, prende le mosse dall’assunto che, a parità di servizio speciale prestato, tale per cui deve essere identico il trattamento previdenziale e che è arbitraria ogni distinzione fondata su un elemento estraneo alla ratio dell’aumento convenzionale dell’anzianità di servizio.

Quindi, i servizi speciali che determinano l’aumento figurativo dell’anzianità, sono valutati solo dopo il raggiungimento dei requisiti di legge per ottenere la pensione, tenendo conto dell’intero percorso lavorativo.

Il conseguimento del diritto alla pensione non configura un dato accidentale ed estrinseco, ma rappresenta un tratto distintivo di rilievo cruciale, che rivela l’eterogeneità delle fattispecie poste a raffronto e giustifica il trattamento differenziato dei servizi speciali di chi non abbia maturato il diritto alla pensione”.

Dunque, non vi è alcun tipo di sperequazione arbitraria, ma la decisione rispecchia un bilanciamento tra contrapposti interessi, che “tiene conto della diversità delle situazioni comparate e non travalica i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità”.

Se i militari cessano dal servizio senza aver acquisito il diritto a pensione perdono la possibilità di valorizzare le maggiorazioni contributive per le specifiche attività lavorative svolte.