L’Italia lascia l’Afghanistan: cosa hanno fatto le forze armate in vent’anni

L'Italia lascia l'Afghanistan: cosa hanno fatto le forze armate in vent'anni

L’Italia ammaina la propria bandiera ad Herat. Dopo vent’anni in missione, le forze armate della NATO lasciano l’Afghanistan: ecco cosa è stato fatto.

L’Italia dice “addio” all’Afghanistan e ammaina la bandiera tricolore nell’hangar dell’aeroporto di Herat. Si è conclusa così, l’8 giugno 2021, la ventennale presenza del contingente italiano sul suolo afghano che ha visto nell’ultimo anno schierate circa 900 unità presso la base di Herat.

Il ritiro delle truppe NATO era stato già annunciato a fine aprile, dopo la decisione presa dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di ritirare le proprie forze armate entro l’11 settembre 2021, data in cui cade l’anniversario degli attentati terroristici al pentagono e al World Trade Center da parte di Al Qaida.

Successivamente gli altri stati NATO hanno annunciato il prossimo rimpatrio delle proprie truppe. Un rientro che dovrebbe avvenire per gli 800 paracadutisti italiani della Brigata Folgore già per i primi di luglio.

I numeri della missione in Afghanistan

Una delle missioni più lunghe che le forze armate italiane abbiano mai affrontato volge al termine non senza un costo, come ha voluto ricordare il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini, presente alla cerimonia insieme al Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli e al generale Austin Miller capo delle forze ISAF (la missione NATO in Afghanistan).

Un’operazione non solo lunga ma anche dispendiosa. Secondo l’Osservatorio sulle spese militari italiane la spesa fino al 2020 ammonta a circa 8,4 miliardi di euro, ma probabilmente con i costi di rimpatrio si arriverà a circa 8,5 miliardi.

In questi vent’anni, infatti, si sono succeduti a rotazione sul suolo afghano più di 50.000 soldati italiani. Il Ministro Guerini ha voluto, inoltre, ricordare i 53 caduti e i 700 militari rimasti feriti a causa di attacchi o attentati da parte delle forze talebane.

Vent’anni di missione: ecco cosa è stato fatto in Afghanistan

L’operazione in Afghanistan, dal nome “Enduring Freedom” (libertà duratura) ha avuto inizio il 7 ottobre 2001 da parte degli Stati Uniti e gli alleati NATO, dopo gli accadimenti dell’11 settembre. L’intelligence americana sospettava che i talebani avessero nascosto e sostenuto il capo di Al Qaeda Osama Bin Laden.
Per l’Italia la missione ha avuto inizio il 30 ottobre 2001, dopo aver provveduto alla stabilizzazione di Kabul, da poco strappata ai Talebani.

La missione, da operazione anti-terrorismo per una pace duratura, si è poi trasformata in un’operazione per la costruzione di uno Stato stabile e per la democratizzazione del paese.

Vi sono stati progressi nella vita democratica - ha aggiunto il Ministro Guerini - nella tutela dei diritti umani, nell’accesso all’istruzione e nella parità di genere che hanno contribuito a marcare profondamente la società afghana

Infatti nel 2015 la missione ha cambiato nome in “Resolute Support”, che significa sostegno deciso. Fondamentale è stato quindi il lavoro di supporto svolto con le forze di sicurezza afghane.

Le truppe non hanno più avuto ruoli di combattimento, ma hanno addestrato, presso Herat, le forze militari afghane, preparandoli a combattere per la protezione della popolazione e per contrastare la criminalità organizzata e la corruzione.

Sono loro oggi - ha continuato Guerini - la nostra principale eredità e sono loro che da domani saranno chiamati a fronteggiare le minacce alla democrazia in Afghanistan

La guerra in Afghanistan: una vittoria momentanea e apparente?

Sul rimpatrio delle forze armate, però, non sono del tutto convinti gli analisti: molti di loro dubitano che i risultati ottenuti possano essere duraturi. Negli ultimi anni i talebani hanno riconquistato una parte del territorio, specialmente le zone periferiche, come le campagne, e i contingenti afghani continuano a subire delle perdite.

Ancora più dure sono state le parole di EMERGENCY, la fondazione umanitaria fondata da Gino Strada, che in una nota del 15 aprile, ha commentato di non aver mai assistito ad alcun “successo” o miglioramento sul suolo afghano.

Parole che lasciano l’amaro in bocca soprattutto dopo la nota conclusiva che ha definito la guerra in Afghanistan come uno dei più grandi fallimenti umani e di politica estera dei nostri tempi:

Ancora una volta, come sempre, una guerra nata “per risolvere un conflitto” ha fallito il suo obiettivo. È una lezione che dobbiamo imparare