Gli ordini non devono essere motivati ma almeno ragionevoli: il Tar dà ragione ad un militare

Gli ordini non devono essere motivati ma almeno ragionevoli: il Tar dà ragione ad un militare

Le motivazioni sono state accolte e l’Amministrazione condannata al pagamento delle spese.

Un sottufficiale dell’Esercito italiano è stato incaricato di recarsi in Mali, nell’ambito della Task Force che opera in quel territorio ma, avendo i figli a casa in DAD e la moglie impossibilitata lavorativamente a restare a casa, ha fatto ricorso al Tar della Puglia che gli ha dato ragione e lo ha esentato dalla missione.

È quanto accaduto ad un Sergente Maggiore Capo del 7° Reggimento Bersaglieri, di stanza ad Altamura, con l’incarico di “assistente ai comandi” e in possesso di una qualifica come consulente ambientale EPO, che ha ricevuto l’ordine di dover partecipare ad una missione nel Sahel poiché c’era “l’esigenza di immettere n.1 qualificato Eviromental Protection Officer (EPO), per l’effettuazione di campionamenti presso le relative aree di schieramento”.

Impossibilitato a partire per motivi familiari, comunicati all’Amministrazione, il sottufficiale ha fatto ricorso al Tar che ha sentenziato che gli ordini non devono essere motivati ma almeno ragionevoli ed ha condannato l’Amministrazione al pagamento di 2.000€ in favore del militare.

Vediamo nel dettaglio cosa è successo e cosa ha detto il Tar Puglia nello specifico.

Militare impossibilitato ad andare in Mali: cosa è successo

Un sottufficiale dell’Esercito italiano, in servizio presso il 7° Reggimento Bersaglieri di Altamura, ha comunicato al Comandante e alla corrispondente linea gerarchica le motivazioni tali per cui era impossibilitato a partire per il Mali per ricoprire l’incarico di EPO (Eviromental Protection Officer).

La memoria ostativa all’impiego, inviata tramite pec e già esplicitata per le vie brevi, illustrava tra i motivi familiari quelli di essere genitore di due minori frequentanti la scuola dell’infanzia e in DAD, secondo quanto disposto dall’ordinanza n. 58 del 23 febbraio 2021 del Presidente della Regione Puglia, in cui veniva stabilito che le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado dovessero attuare le forme flessibili di attività scolastica in formato digitale, sotto la responsabilità dei genitori.

E qui, viene la seconda motivazione. La coniuge del militare, e madre dei bambini, non poteva rimanere in casa e consentire al marito di partire perché vincitrice di un concorso in magistratura ordinaria presso il Tribunale Ordinario di Bari, presso il quale avrebbe dovuto prestare servizio.

Non potendo fruire di permessi o congedi parentali, né assentarsi dall’attività di tirocinio, motivandola con i motivi familiari, la donna non poteva restare a badare ai minori in DAD e quindi il compagno chiedeva ai superiori del suo Reggimento di appartenenza di restare presso la propria famiglia nella sede di attuale incardinamento, ovvero Altamura.

Per tutta risposta, l’Amministrazione aveva ritenuto le motivazioni del militare non ostative e gli aveva notificato lo schieramento nella Task Force in Mali.
Da qui, la decisione di fare ricorso al Tar Puglia.

Militare impossibilitato ad andare in Mali: la decisione del Tar

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso del sottufficiale evidenziando che, seppure

“l’Amministrazione militare nell’emanare un provvedimento che assuma la natura di ordine, non sarebbe tenuta all’obbligo di motivazione generalmente previsto per i provvedimenti amministrativi ex art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241, appare tuttavia del tutto evidente come l’interprete non si possa fermare ad una lettura acritica del testo normativo, ma debba valutarlo alla luce di tutto l’arco sistematico nel quale lo stesso si inserisce ed in base ai dati oggettivi della peculiare fattispecie concreta in analisi”.

Sebbene l’Amministrazione militare goda di una discrezionalità molto più ampia di quella dell’Amministrazione civile, deve comunque attenersi allo “spirito democratico della Repubblica”, ai sensi dell’art. 52 della Costituzione.

Serve, secondo quanto ha stabilito il Tar Puglia e riportato da Infodifesa.it, che si bilancino le esigenze di servizio con i contrapposti interessi e diritti costituzionalmente riconosciuti al cittadino, alla luce del generale criterio di ragionevolezza, a maggior ragione nelle situazioni in cui i provvedimenti che vengono emanati possono essere gravosi per gli interessi personali e professionali di chi li riceve.

Per questo, il Tar considera che, tenuto conto della situazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto, almeno succintamente, esporre le ragioni tali per cui le esigenze di servizio avrebbero dovuto prevalere su quelle contrapposte dall’interessato, oltre ad aver dovuto chiarire in base a quale criterio di scelta fosse stato individuato proprio e solo il ricorrente quale destinatario di un tale incarico.

Le motivazioni rientrano in quel principio di ragionevolezza, specie quando si ha a che fare con i diritti riconosciuti costituzionalmente, che in questo caso sono:

  • Diritto a educare e istruire la prole (art. 30);
  • Diritto all’Istruzione (art. 34);
  • Tutela della famiglia (art. 29);
  • Valori riconosciuti dal diritto internazionale e richiamati negli atti di parte ricorrente (art. 24 della Carta di Nizza e art. 3 della Convenzione delle Nazioni unite del 5 settembre 1991 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza).

Il Tar ha espressamente invitato l’Amministrazione a procedere ad un riesame della propria attività provvedimentale, sulla base delle motivazioni del ricorso e sul principio di ragionevolezza.

Dal canto suo, l’Amministrazione, spiegano i giudici, non ha né provveduto all’esecuzione del deciso cautelare, né al riesame.

L’inosservanza dell’ordine del Tar in sede cautelare è per i giudici di “non secondaria rilevanza, costituendo un comportamento processuale sicuramente valutabile dal giudice ai fini dell’accoglimento del ricorso e gravemente lesivo del corretto atteggiarsi del rapporto di reciproca e leale collaborazione che deve necessariamente sussistere fra Amministrazione e Giurisdizione”.

Il Tar non solo ha accolto il ricorso, ma ha condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese per un importo di 2.000€.