Esercito italiano: tenente colonnello condannato per il reato di ingiuria ad inferiore

Esercito italiano: tenente colonnello condannato per il reato di ingiuria ad inferiore

Condannato al pagamento di 6.500 euro il tenente colonnello dell’Esercito che aveva rivolto ad una collega pesanti insinuazioni circa un rapporto di tipo sessuale con un Ufficiale.

Un tenente colonnello dell’Esercito italiano è stato condannato per ingiuria e disonore dal Tribunale militare di Roma per aver fatto delle allusioni pesanti nei confronti di una collega in servizio, come lui, presso il Policlinico militare “Celio” di Roma, insinuando un rapporto di tipo sessuale tra la collega Caporal Maggiore Scelto, peraltro sposata con un militare di stanza presso lo stesso Istituto, e un altro Ufficiale in servizio nel medesimo reparto.

La Corte Militare d’Appello non ha accolto il ricorso del tenente colonnello ed ha confermato la condanna. Vediamo nello specifico come si sono svolti i fatti e cosa è emerso dalla sentenza.

Come sono andati i fatti

Sebbene all’inizio ci fosse un clima disteso e cordiale tra il personale del Reparto Supporti del Policlinico militare di Roma, la situazione è in seguito mutata.

Secondo la valutazione del Tribunale e alla luce delle risultanze processuali che hanno indicato un giudizio di responsabilità penale del tenente colonnello, questi non mancava di assumere nei confronti della Caporal Maggiore Scelto un atteggiamento insinuante, con cui affermava, dinnanzi ai colleghi, che la soldatessa avesse una relazione sentimentale con un Ufficiale che non era suo marito, in servizio nello stesso reparto.

L’imputato manifestava nei confronti della collega un atteggiamento ambiguo, finto protettivo tanto da inviarle dei messaggi la sera per chiederle spiegazioni sui motivi per i quali l’aveva vista giù di tono la mattina, offrendo il suo aiuto in caso di bisogno, senza considerare che la donna era coniugata con un altro militare anch’egli in servizio presso il Policlinico militare, ma in un altro ufficio.

Il Tribunale Militare ha ritenuto che la natura dei messaggi lasciasse trapelare un interesse di natura non professionale che poteva essere individuato come movente dell’atteggiamento ingiurioso.

Il rapporto aveva, quindi, natura sentimentale e non lavorativa e l’offesa all’onore e alla dignità della donna - che nel suo ambiente di lavoro veniva schernita e diventava oggetto di parole ed espressioni da parte di un superiore, con ripercussioni negative sia in campo lavorativo che familiare - è una dinamica che la Forza armata non può tollerare.
Da qui, la sentenza della Corte Militare d’Appello e della Corte di Cassazione.

Come si è espressa la Corte Militare d’Appello

Descritta dal tenente colonnello come una persona molto espansiva ed aperta, amante delle battute su di sé e sulla propria vita familiare, l’imputato si è difeso sottolineando che le frasi pronunciate non avessero alcuna volontà lesiva ed ingiuriosa, ma solo goliardica.

La Corte Militare d’Appello ha ravvisato senza ombra di dubbio la componente del reato di ingiuria ad inferiore poiché il tenente colonnello, abusando della superiorità in grado e funzionale, “si lasciava andare al comportamento lesivo della dignità dedotto nell’imputazione in danno del Caporale Maggiore Scelto”.

L’aggravante è determinata dal fatto che il tenente colonnello era ben consapevole che il marito della soldatessa prestava servizio all’interno del Policlinico Militare del Celio e che le sue continue battute ed insinuazioni potevano mettere in crisi il suo
rapporto personale, oltre a ledere la sua professionalità.

Vengono rigettate anche le dichiarazioni del tenente colonnello tali per cui il suo modo di fare era volto a correggere/aiutare/riportare ad una maggiore serietà il contesto lavorativo; così come non vengono prese a discolpa i messaggi della posta ordinaria in cui si legge (ti manca, voi due ve la intendete, ecc.).

Con la conferma della condanna del tenente colonnello, la Corte Militare d’Appello ha voluto ribadire ancora una volta che simili atteggiamenti non sono né accettati né avallati, e che il rispetto delle donne nelle Forze armate è imprescindibile ed è considerato uno dei capisaldi per il corretto vivere civile, dentro e fuori la caserma.

La sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del tenente colonnello e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali nella somma di 3.000 euro da destinare alla Cassa delle ammende.

Inoltre, ha condannato l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel processo dalla Caporal Maggiore Scelto in 3.500 euro complessivi. Per un totale di 6.500 euro.