Storia e origini della Polizia Penitenziaria

Storia e origini della Polizia Penitenziaria

Dopo più di 200 anni di storia, la Polizia Penitenziaria potrebbe essere soggetta ad una nuova riforma. Nell’attesa, ripercorriamo le origini del Corpo della Pol.Pen.

La Polizia Penitenziaria è una delle quattro forze di Polizia italiane, ad ordinamento civile insieme alla Polizia di Stato (l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza sono ad ordinamento militare).

A differenza della Polizia di Stato, però, la Penitenziaria non dipende dal Ministero dell’Interno bensì da quello della Giustizia; d’altronde la sua funzione prevalente è quella di gestire le persone sottoposte a provvedimenti di restrizione o limitazione della libertà personale.

La storia della Polizia Penitenziaria ha origini recenti; sono poco più di 200 anni, infatti, che questo corpo è stato istituito. Tuttavia la sua storia potrebbe anche concludersi a breve, poiché da tempo si fa strada l’ipotesi di una riforma e di un accorpamento nella Polizia di Stato di questo corpo.

In attesa di ulteriori sviluppi in merito ad una riforma della Polizia Penitenziaria è importante approfondire gli origini di questo Corpo; vediamo quindi quali sono le tappe più importanti della sua storia.

Le origini della Polizia Penitenziaria

Lo scorso anno la Polizia Penitenziaria ha festeggiato il 200° anniversario della sua nascita; era il 17 marzo del 1817, infatti, quando per attuare quanto previsto dal “Regolamento della Famiglia di Giustizia modificato” con le Regie Patenti fu sottoscritto l’atto di nascita del Corpo.

Inizialmente quindi la Polizia Penitenziaria fu competente per il solo Regno Sardo, dove le carceri furono suddivise in sette classi a seconda del numero degli organici dei Soldati di giustizia (termine con il quale venivano chiamati gli appartenenti al Corpo) destinati a prestarvi servizio.

I carceri quindi vennero affidati all’operato dei custodi, mentre a capo di ogni Famiglia era posto un ispettore il quale aveva il compito di monitorare il loro operato tramite “visite a sorpresa” durante la settimana.

La Polizia Penitenziaria nell’Unità d’Italia

Una volta ottenuta l’Unità del Paese, però, vennero nuovamente differenziate le tipologie delle carceri presenti sul territorio nazionale. Nel dettaglio, nell’arco temporale che va dal 1860 al 1862 furono approvati ben 5 regolamenti, quali:

  • R.D. 19 settembre 1860: istituzione dei bagni penali, dipendenti dal Ministero della Marina e di Custodia;
  • R.D. 27 gennaio 1861: istituzione delle carceri giudiziarie;
  • R.D. 13 gennaio 1862: istituzione delle case penali;
  • R.D. 28 agosto 1862: istituzioni delle case di relegazione;
  • R.D. 27 novembre 1862: istituzione delle case di custodia.

Come anticipato le prime dipendevano dal Ministero della Marina, ma dal 1866 così come le altre quattro passarono sotto la gestione del Ministero dell’Interno.

Questi sistemi di detenzione erano dipendenti alla Direzione generale delle carceri, anch’essa facente capo al Ministero dell’Interno, e a capo di quest’organo venne posto l’avvocato Giuseppe Boschi che restò in carica fino al 1870.

Fu con il R.D. del 10 marzo 1871 invece che ci fu l’unificazione del personale amministrativo con quello di custodia, mentre l’anno successivo venne accorpato anche il personale proveniente dalle carceri pontificie.

Le riforme

Ma l’organizzazione di quest’organo era in continua evoluzione: è al Regolamento del 27 luglio 1873, infatti, che si deve l’approvazione del Regolamento “per corpo delle guardie carcerarie” con il quale vennero istituite le nuove qualifiche di capoguardia, sottocapo e guardia. Fu con lo stesso regolamento che venne introdotta la denominazione di guardia carceraria.

Questa riforma però è importante anche per un altro aspetto, ovvero a quello per cui per la prima volta agli appartenenti al corpo di custodia veniva riconosciuto lo status militare e come tale questi erano soggetti al rispetto del codice militare.

È nel 1890 che venne istituito il Corpo degli Agenti di Custodia con il compito di vigilare le carceri giudiziarie centrali, succursali e mandamentali, occupandosi sia della gestione dei condannati chiusi negli stabilimenti penali che dei lavoranti all’aperto. Sempre questi dovevano occuparsi dei controlli dei minori rinchiusi nei Riformatori governativi.

È nel primo dopoguerra - precisamente nel 1922 - che la Direzione generale venne trasferita dal Ministero dell’Interno a quello della Giustizia; gestione che come anticipato perdura ancora oggi.

L’appartenenza alle Forze Armate, invece, venne stabilita nel secondo dopoguerra, quando con il provvedimento legislativo approvato il 21 agosto del 1945 gli Agenti di Custodia ottennero la qualifica di polizia giudiziaria e la soggezione alla giurisdizione militare.

Si parla di Polizia Penitenziaria e non più di Agenti di Custodia solamente nel 1990, con l’approvazione della legge n° 395 con la quale è stato istituito anche il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Una legge importantissima perché accogliendo le richieste degli appartenenti al Corpo ha deciso in favore di una loro riqualificazione, smilitarizzazione e sindacalizzazione; con la stessa riforma, ad esempio, è stato deciso che oltre ad occuparsi della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari il personale ha competenza anche anche per il trattamento rieducativo.

La storia della Polizia Penitenziaria non è ancora conclusa?

Paradossalmente è proprio questo uno dei punti che oggi non soddisfa il personale della Polizia Penitenziaria; c’è chi ritiene, infatti, che il compito di rieducazione dei detenuti debba essere affidato al personale competente in ambito socio-psicologico e non agli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, i quali dovrebbero limitarsi al controllo all’esterno delle carceri e a quello delle persone soggette a misure di detenzione extra moenia.

Quindi la storia della Polizia Penitenziaria non sembra essere ancora arrivata alla sua ultima tappa perché nei prossimi mesi - o anni - ci potrebbe essere l’approvazione di una nuova riforma che ne rivoluzionerà nuovamente la struttura; e - in caso di accorpamento nella Polizia di Stato - potrebbe anche segnarne la fine.